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Sebbene con un ritardo di ben 35 anni la sentenza è arrivata, e giustizia è stata fatta (almeno per ora).
Martedì 19 dicembre, nel silenzio generale, la Corte d’appello svedese ha definitivamente condannato all’ergastolo Hamid Nouri (classe 1961), ex funzionario della sicurezza iraniana, arrestato nel novembre 2019 all’aeroporto di Arlanda a Stoccolma e condannato dal tribunale regionale di Stoccolma il 14 luglio 2022 per crimini di guerra e omicidio, riconoscendo il suo ruolo in primo piano nel massacro del 1988 di un gran numero di prigionieri politici iraniani detenuti nel carcere di Gohardasht, a Karaj.
Nouri, già dal suo arresto, aveva respinto tutte le accuse relative alle esecuzioni del 1988, etichettando gli eventi e le accuse contro di lui come una “storia immaginaria e inventata”.
Una sentenza, quella di martedì, nonostante i fatti, non scontata, perché, come analizzavo in un precedente articolo, in tempi recenti, sulla scia degli scambi di ostaggi incarcerati senza motivazione in Iran in cambio di soldi o di iraniani detenuti in Europa, non era esclusa la possibilità che Nouri venisse rilasciato e consegnato all’Iran.
Chi è Hamid Nouri
Hamid Nouri alias Hamid Abbasi, era una guardia carceraria dell’IRGC reclutata dalla magistratura iraniana per servire i pubblici ministeri nelle prigioni di Evin e di Gohardasht, e proprio in quest’ultima fu coinvolto nelle esecuzioni di massa del 1988 (1367 nel calendario persiano).
Martedì Nouri è stato giudicato colpevole. La Corte svedese ha infatti riconosciuto Nouri come una figura chiave in quel massacro, in quanto all’epoca dei fatti stilò la lista dei prigionieri a cui sarebbe toccata la pena di morte, ed è accusato di oltre 100 omicidi, definiti dalla Corte come “un grave crimine contro il diritto internazionale“. Oltre a lui, anche Ebrahim Raisi, attuale Presidente dell’Iran (che in precedenza ricoprì il ruolo di capo della Magistratura e fu membro delle Commissioni della pena di morte a Teheran e Karaj) ha avuto un ruolo fondamentale in questa orrenda vicenda e nella compilazione delle liste della morte.
Una vicenda, questa, che ancora una volta vide il coinvolgimento l’Ayatollah Ruhollah Khomeini. Fu lui infatti a lanciare la fatwa, nel luglio del 1988, che ordinò l’esecuzione di tutti i prigionieri politici, molti dei quali sostenitori o fedeli al partito di opposizione dei Mojahedin del Popolo Iraniano (anche noto come Mojahedin–e Khalq – MEK) , o sostenitori del Partito comunista Tudeh e di altri piccoli gruppi di sinistra. Ad essere epurati furono tra le 8.000 e le 30.000 persone, giustiziate senza processi e prive qualsiasi di assistenza legale, e costrette durante la detenzione a un isolamento totale. Lo storico Ervand Abrahamian nel suo libro Tortured Confessions riporta che i prigionieri e le prigioniere erano vittime di torture e violenze continue, costrette a interrogatori estenuanti e a sopravvivere di stenti, inoltre per evitare che i detenuti si incontrassero le aree comuni delle carceri furono chiuse, tra cui pure l’infermeria; condizioni queste che spinsero molti carcerati al suicidio. Coloro che sopravvissero furono condannati a morte, l’esecuzione avveniva in modo segreto e senza contattare le famiglie, dopodichè i corpi venivano gettati nelle fosse comuni.
Le reazioni alla condanna
Se i famigliari delle vittime e gli attivisti hanno accolto con favore la decisione della Corte, definendola un primo passo per assicurare alla giustizia il regime di Teheran e condannare così le future violazioni dei diritti umani in Iran; differente è stata ovviamente la visione del governo. Teheran Times, giornale in lingua inglese vicino al regime, riporta che il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, ha dichiarato che: “La Repubblica islamica dell’Iran considera il verdetto della corte d’appello riguardante il cittadino iraniano Hamid Nouri fondamentalmente inaccettabile, condannando fermamente la sentenza”.
Kanaani non si è però fermato qui, ma è pure arrivato a dire che con questa condanna “il sistema giudiziario svedese si è schierato con i gruppi terroristici (in riferimento al MEK), mettendo in pericolo gli interessi delle due nazioni e le vecchie, storiche e profonde relazioni tra i due Paesi”.
Il portavoce ha inoltre affermato che la Repubblica islamica si riserva il diritto di adottare misure “appropriate” al riguardo.
Questo tono dal governo di Teheran non sorprende, anche dopo il verdetto della sentenza di luglio, il deputato per gli affari internazionali e i diritti umani della magistratura iraniana, Kazem Gharibabadi, accusò la Svezia di aver preso Nouri in “ostaggio”, chiedendo il suo rilascio, sostenendo inoltre che la Svezia non aveva prove contro l’ex funzionario iraniano.
Il caso Johan Floderus
Nel frattempo in Europa c’è ansia per la sorte del giovane diplomatico svedese Johan Floderus (classe 1990), rinchiuso da oltre un anno nel carcere di Evin. Floderus è stato arrestato il 17 aprile 2022 all’aeroporto di Teheran dove stava rientrando da una vacanza. Solo recentemente, il 10 dicembre, la Repubblica islamica dell’Iran ha comunicato le ragioni dell’arresto, informando, tramite l’agenzia di stampa della magistratura iraniana Mizan, di aver iniziato il processo a Floderus, accusato di attività diffuse contro la sicurezza nazionale, ampia cooperazione di intelligence a favore di Israele, e efsad-fil-arz (corruzione sulla Terra), un crimine ibrido e che proprio per questo permette ai giudici un’ampia interpretazione, spesso a discapito dei processati, per questo reato è prevista la pena di morte.
L’arresto di Floredus avviene qualche mese prima della prima sentenza ad Hamid Nouri, e potrebbe far pensare che sia stato usato dal regime iraniano come possibile ostaggio per un possibile scambio con Nouri, cosa che però non è avvenuta, almeno non ancora.
Ad intervenire sull’arresto di Floredus anche il capo della politica estera dell’Unione europea Josep Borrell che ha chiesto l’immediato rilascio del diplomatico svedese.