Iran e Arabia Saudita, il disgelo voluto dalla Cina
13 Marzo 2023Università, i suicidi sono in aumento
14 Marzo 2023Il pentito Spatuzza torna in libertà
La decisione del tribunale di sorveglianza, dopo 26 anni di carcere e domiciliari. Spatuzza era stato condannato per gli attentati del 1993 a Roma, Firenze e Milano e per il sequestro Di Matteo.
Prima spietato killer della mafia coinvolto negli attentati dinamitardi del 1993 a Roma, Milano e Firenze e poi collaboratore di giustizia. E’ la storia di Gaspare Spatuzza, 59 anni che, dopo 26 anni trascorsi tra carcere e domiciliari potrà tornare in libertà condizionale. A deciderlo è il tribunale di sorveglianza.
Spatuzza ritorna in libertà dopo 26 anni
La decisione è giunta nell’aprile scorso, quando la corte di Cassazione aveva annullato l’ordinanza del tribunale di sorveglianza che negava la liberazione condizionale. “La liberazione condizionale è arrivata dopo che un anno fa gli era stata negata. E ora il nuovo verdetto di senso opposto su parere conforme di tutte le procure antimafia interpellate”, scrive il Corriere della Sera.
Spatuzza, più comunemente chiamato “U tignusu”, per la sua calvizie dovrà però osservare alcune prescrizioni: non frequentare pregiudicati e non uscire fuori dalla provincia di residenza senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Le sue dichiarazioni sono state fondamentali alle indagini sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio, dove persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino assieme agli agenti delle scorte oltre a svelare la verità sul falso pentito Vincenzo Scarantino, al centro dei depistaggi sulla strage del 19 luglio 1992.
Durante la detenzione Gaspare Spatuzza avrebbe intrapreso anche un percorso di conversione religiosa, chiedendo perdono alle vittime della mafia e soprattutto dei delitti di cui si è macchiato durante la sua carriera criminale e tra questi, anche quello dell’agguato del parroco di Brancaccio Don Pino Puglisi.
Franco Puglisi: “E’ pentito. Giusto che sia libero”
Sulla liberazione di Spatuzza sarebbe intervenuto proprio il fratello del prete ucciso Franco Puglisi: “Quando mi sono trovato davanti a Gaspare Spatuzza, ho subito capito che era un uomo profondamente cambiato. Ci aveva scritto una lettere dai toni accorati. Raccontava la sua storia, ripercorreva i momenti dell’omicidio. E poi, soprattutto, rievocava cosa accadde in carcere”, spiega. “Dopo la condanna all’ergastolo per il delitto di mio fratello – continua Franco Puglisi – chiese di andare in isolamento, una scelta a suo parere che gli consentiva di intraprendere un cammino di ricerca dell’uomo”.
Da killer della mafia a collaboratore di giustizia, chi è Gaspare Spatuzza
Gaspare Spatuzza nasce a Palermo nel 1964 e inizia la sua ascesa criminale svolgendo piccole rapine fino al giorno in cui viene affiliato con il rito della “punciuta” a Cosa Nostra. Esponente della famiglia di Brancaccio con a capo i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, si sarebbe reso partecipe alla strage di via D’Amelio rubando la Fiat 126 usata come autobomba. E’ stato, inoltre, uno degli esecutori materiali del delitto del parroco di Brancaccio Don pino Puglisi e avrebbe preso parte al commando che il 23 novembre 1993 rapì il piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido dopo circa due anni di prigionia. Lo stesso Spatuzza, avrebbe racconto agli inquirenti anche il suo coinvolgimento in prima persone negli omicidi di Giuseppe e Salvatore Di Peri, Marcello Drago, Domingo Buscetta, nipote del pentito Tommaso Buscetta e Salvatore Buscemi.
Arrestato il 2 luglio 1997 presso l’ospedale Cervello di Palermo, Spatuzza è stato condannato all’ergastolo per gli attentati dinamitardi del 1993 a Roma, Firenze e Milano e a 12 anni per il sequestro Di Matteo. Dopo 11 anni in regime di carcere duro, ha deciso di collaborare con la magistratura raccontando la verità sulle stragi e sui legami fra mafia, politica e mondo imprenditoriale. Motivo che spinge il boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro a chiederne l’uccisione. Nel 2011, Spatuzza è stato sottoposto a programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia. Adesso, potrà tornare in libertà osservando le prescrizioni imposte per un periodo di cinque anni.