Il sequestro di De André e Dori Ghezzi, 45 anni dopo

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Il sequestro di De André e Dori Ghezzi, 45 anni dopo

Il 27 agosto 1979, il cantautore genovese e la sua compagna furono rapiti mentre si trovavano nella loro casa a l’Agnata, in Sardegna.
Nell’album L’indiano del 1981, De André dedicò alla tragica esperienza il brano “Hotel Supramonte”.

Nel 1976, la coppia si era trasferita in Gallura, dove aveva acquistato tre appezzamenti di terra, tra cui appunto, quello dell’Agnata, dove avevano ristrutturato un’abitazione che in seguito diventò una vera e propria fattoria.

Il rapimento

Erano da poco passate le 23, quando vennero aggrediti da tre uomini col volto coperto, furono portati all’esterno della casa e fatti salire sulla loro automobile, una Citroen Diane 6. I banditi li condussero in una località tra Monti e Alà dei Sardi e li consegnarono ad un quarto rapitore, che li condusse in una località sulle montagne di Pattada. Dopo svariate ore di cammino, passarono la notte all’aperto e il giorno dopo il cammino continuò fino al tramonto, fino ad arrivare al luogo prefissato dai rapitori.

La prigionia

La coppia rimase nel primo rifugio per circa una settimana, successivamente vennero trasferiti in un nuovo nascondiglio, dove rimasero per alcuni mesi. I due custodi rimasero sempre incappucciati e la sera arrivava sempre un terzo rapitore per portare cibo e indumenti. Dori Ghezzi racconterà che i rapitori sostenevano che il padre di Fabrizio non volesse pagare il riscatto e proponevano di liberare Dori per pagare il riscatto di Fabrizio o viceversa. Dopo il 5 novembre, ci fu un nuovo spostamento, in un altro versante della montagna. Nonostante fossero sistemati in una tenda per la notte, Fabrizio racconterà come le condizioni estreme dovute al clima rigido nei mesi invernali gli aveva fatto pensare che la situazione potesse precipitare e per questo aveva conservato il tappo di una scatoletta, da usare nel caso in cui le forze non lo avessero più sorretto.

Le indagini e le trattative

Le indagini, coordinate dal capitano Vincenzo Rosati del Comando dei Carabinieri di Tempio Pausania, si concentrarono sull’ambiente di Orune. Si scoprì che la banda iniziale di rapitori era proprio composta da due uomini orunesi e da un terzo della provincia di Siena. Vennero poi individuati gli altri elementi, grazie anche alle testimonianze di alcune persone che avrebbero notato degli incontri sospetti in un distributore di benzina.Emerse come le vittime avessero indirizzato una lettera al padre di Fabrizio dove informavano che i rapitori avevano richiesto un riscatto di due miliardi. L’avvocato Pinna seguì la vicenda per la famiglia De André e chiese l’aiuto al parroco del Sacro Cuore di Tempio, don Salvatore Vico.

La liberazione e gli arresti

Dopo vari tentativi di mediazione non andate a buon fine, le trattative vennero concluse e portarono al pagamento di un riscatto di cinquecentocinquanta milioni di lire e finalmente alla liberazione degli ostaggi. Dori Ghezzi venne rilasciata il 20 dicembre vicino ad Alà dei Sardi, il giorno seguente nei pressi di Buddusò venne liberato Fabrizio. La sera di Natale venne arrestato Francesco Pala, ritenuto essere il basista della banda, e suo fratello, poi scagionato. Nei mesi successivi continuarono gli arresti fino ad arrivare ai processi e alle sentenze.

Le sentenze

Venne ricostruita l’organizzazione, composta da sei uomini di Orune, tra i quali un assessore comunale, tre di Pattada e un toscano. Ai dieci che furono imputati di sequestro di persona, si aggiunsero due imputati per riciclaggio e truffa. Il 20 marzo 1983 vennero pronunciate le condanne, tra le più severe quella a Salvatore Vargiu, “il vivandiere”, a 25 anni e 4 mesi. È importante sottolineare che Fabrizio e Dori si costituirono parte civile contro i mandanti ma perdonarono i carcerieri. Nel 1985 firmarono la domanda di grazia, presentata all’allora Presidente della Repubblica Cossiga, di Salvatore Vargiu. In un’ intervista alla Rai, immediatamente seguente alla liberazione Fabrizio dichiarò «Fondamentalmente i veri prigionieri continuano ad essere i sequestratori, non noi, tant’è vero che noi siamo usciti e loro sono dentro e credo che se dovessero uscire lo faranno per prendersi una pallottola».

Nell’album L’indiano del 1981, De André dedicò alla tragica esperienza il brano “Hotel Supramonte”.