In carcere dopo essere fuggite dall’Iran, la storia di Maysoon e Marjan

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In carcere dopo essere fuggite dall’Iran, la storia di Maysoon e Marjan

«Dopo il naufragio di Cutro, il decreto che da quel luogo porta il nome, accompagnato dalla proclamata ‘lotta agli scafisti lungo tutto l’orbe terracqueo’ ha creato una sorta di ansia performativa: fare il maggior numero di arresti, a tutti i costi. È così che due persone che in Italia cercavano protezione hanno invece trovato le manette», ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.

È Dicembre 2023, tra il freddo e il buio del cielo che si mimetizza con lo scuro del mare, la barca su cui viaggia Majidi Maysoon raggiunge Crotone; qualche mese prima, a Ottobre, Marjan Jamali sbarcava a Roccella Ionica. Due donne, due storie, e due destini che nelle loro tragiche similitudini sembrano confondersi: al loro arrivo in Italia Maysoon e Marjan vengono incarcerate con l’accusa di essere scafiste.

La storia di Majidi Maysoon, l’attivista e regista kurdo-iraniana

Danza Maysoon Majidi in Thirsty Flight, il film da lei diretto assieme a Edris Abdi. Il cortometraggio narra di un giovane iraniano e attivista per i diritti umani che, per paura di essere arrestato dalle forze di sicurezza della Repubblica islamica dell’Iran, vive in un campo vicino al confine iraniano-iracheno. Fuggire dalla propria Terra per salvarsi è un leitmotiv che accompagna l’esistenza di chi è nato e vive in regimi: si scappa per sopravvivere, per evitare torture e incarcerazioni; ma non sempre l’arrivo in un’altra terra coincide con la salvezza.

Ne è l’esempio la storia di Maysoon, regista kurdo-iraniana di 28 anni. Dopo aver lasciato l’Iran a causa delle violenze perpetuate dal regime teocratico, Majidi si rifugia nel Kurdistan iracheno, ma essendo anche lì in pericolo prova a raggiungere l’Europa. Nel dicembre del 2023 Majidi sbarca a Gabella (Crotone), e con l’accusa di essere la seconda capitana dell’imbarcazione viene incarcerata, prima a Castrovillari, poi a Reggio Calabria dove è detenuta ancora oggi.

Su cosa si basa l’accusa.

Majidi si trova in carcere perché alcune persone che viaggiavano con lei hanno riferito che la donna durante la traversata distribuiva acqua e cibo. Testimonianze ritratte quando i familiari di Majidi, e l’avvocato stesso, sono riusciti a rintracciare uno dei testimoni che ha riferito che tali dichiarazioni erano il risultato di un’errata traduzione.

Lo stesso denunciante, accolto in un campo profughi in Germania, risultava però irreperibile alle autorità, impedendo così un controesame.

Maysoon Majidi si trova in una condizione di gravissima depressione e debilitazione, che desta molta preoccupazione. Pesa attualmente 38-40 kg e le è stata rifiutata la visita di una psicologa da lei indicata, riferisce Amnesty International Italia tramite una nota congiunta con A Buon Diritto.

Il 29 luglio è stato il suo compleanno, pensare che il viaggio in cerca della libertà e di protezione di Maysoon si sia trasformato in un incubo, passando da una prigione a cielo aperto (quella dell’Iran) ad una cella in un carcere italiano, deve farci riflettere sulle leggi sull’immigrazione (in primis l’art.12 del Testo Unico Immigrazione e il decreto Cutro) e sul nostro sistema giudiziario, un sistema che, ancora una volta, si dimostra debole dal punto di vista etico, fallace, approssimativo e inadeguato.

Marjan Jamali,  per lei il carcere dopo il tentato abuso

Una donna abbraccia il suo bambino. È questa l’immagine che più compare se si digita in Google il nome di “Marjan Jamali”. Marjan, come Maysoon e molte altre donne e uomini, fugge dall’Iran, fugge dal regime sanguinario degli ayatollah che giornalmente incarcera e condanna a morte chi esprime le proprie idee. Marjan Jamali per vivere più liberamente parte con suo figlio dalle coste turche a bordo di una barca a vela diretta in Europa. Il 26 Ottobre 2023 approda a Roccella Ionica ed è in quel momento che le speranze di avere un futuro migliore si sgretolano: Marjan viene infatti accusata di essere il capitano dell’imbarcazione, il reato è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il 30 Ottobre Marjan viene arrestata e condotta nel carcere di Reggio Calabria, dopo alcuni mesi le saranno concessi i domiciliari a Camini (Reggio Calabria), mentre da pochi giorni è stata trasferita a Bari.

Perché Marjan è stata incarcerata?

Ad accusarla di essere una “scafista” sono stati tre uomini iracheni che viaggiavano con lei, gli stessi uomini, attenzione, che Marjan aveva denunciato per molestie sessuali, in quanto secondo il suo racconto avevano tentato di violentarla durante la traversata. Eppure, esattamente come nel caso di Maysoon, una volta lanciate queste accuse, questi “testimoni” sono stati lasciati liberi di andare, diventando irreperibili, è stato quindi impossibile avere un controesame delle loro affermazioni.

A differenza della parola dei tre uomini, prive di alcuna prova fattuale, l’avvocato di Jamali, al contrario, ha esibito la ricevuta del pagamento dei 14.000 dollari versati dalla famiglia di Marjan ad un’agenzia turca, come pagamento del viaggio suo e del figlio per l’Europa.

Gli interrogativi che emergono da queste due storie sono molti, troppi. Viene da chiedersi: perché sono state considerate attendibili le asserzioni degli uomini (basate oltretutto su nessuna prova) e non quella delle due ragazze? Perché questi testimoni non sono stati trattenuti per un controesame? E perché non sono stati disposti, già nell’immediato, interpreti in lingua farsi?

Domande purtroppo che non trovano ancora risposta, l’unica cosa certa è che nonostante la debolezza su cui si appoggia l’impianto accusatorio, Marjan e Maysoon sono state, prima accusate di essere scafiste, poi incarcerate. Marjan in seguito al suo arresto è stata separata dal figlio di 8 anni, affidato a una famiglia di nazionalità afghana, e soltanto quando le sono stati concessi i domiciliari madre e figlio hanno potuto ricongiungersi; mentre per Maysoon si sono aperte le porte del carcere e da quel momento è stata sottratta della propria libertà.

Le condizioni di Maysoon e Marjan e gli effetti del decreto Cutro

Maysoon e Marjan, riferisce Amnesty International Italia, sono molto provate, non vedono prospettive per il loro futuro. Immaginiamo come può essere: dichiararsi ed essere innocente e trovarsi privati della propria libertà, oltretutto dopo essere fuggite da un regime che incarcera chiunque esprima dissenso, in particolar modo prendendo di mira le donne e chi fa parte delle cosiddette minoranze etniche e religiose; esattamente come Maysoon che proviene dal Rojhilat, il Kurdistan iraniano.

«Dopo il naufragio di Cutro, il decreto che da quel luogo porta il nome, accompagnato dalla proclamata ‘lotta agli scafisti lungo tutto l’orbe terracqueo’ ha creato una sorta di ansia performativa: fare il maggior numero di arresti, a tutti i costi. È così che due persone che in Italia cercavano protezione hanno invece trovato le manette», ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.

Anche l’Associazione UDIK – Unione Donne Italiane e Kurde, ha voluto far sentire la sua voce, in particolare sull’incarcerazione di Maysoon, attivista kurdo-iraniana, dichiarando:

«Come associazione che si riconosce nei principi costituzionali e quindi nei valori della libertà, dell’uguaglianza, della giustizia, della solidarietà e della pace, e che conseguentemente pone in essere iniziative e progetti di solidarietà a favore delle donne, in particolare delle donne kurde, intendiamo esprimere la massima condanna alla decisione del processo che si è tenuto a Crotone il 24 luglio: i giudici hanno vergognosamente rigettato per la terza volta, la richiesta dell’ avvocato di Majidi Maysoon, attivista curdo-iraniana, reporter e sceneggiatrice, di revocare la custodia cautelare sostituendola con quella degli arresti domiciliari o di ottenere la liberazione, dopo sei mesi di reclusione .

Oggi Maysoon è tre volte vittima: – per essere kurda, perseguitata dal regime occupante del Kurdistan Rojhalat- per essere donna che, come tutte le donne iraniane, vive la crudeltà del regime islamico – per essere vittima dell’ingiustizia che sta subendo in carcere e della decisione del Tribunale italiano.

L’impegno di Udik continuerà contro questa crudele forma di martirio di tante persone che cercano la libertà!»

Maysoon si è sempre dichiarata innocente e da Maggio ha iniziato uno sciopero della fame per denunciare la situazione che sta vivendo e, come già riferito in precedenza, è dimagrita considerevolmente. Il 18 Luglio ha inviato dal carcere al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, una lettera (resa pubblica dall’Onlus a Buon Diritto che si sta occupando attivamente di entrambi i casi) chiedendo che la sua voce venga ascoltata.

Marjan, non molto diversamente da Maysoon, soffre e l’iniziale separazione dal figlio l’ha portata qualche mese fa a compiere atti autolesivi.

Come già accennato in precedenza, una cosa è certa: Maysoon e Marjan sono entrambe vittime degli effetti del decreto Cutro, un provvedimento che nasce con l’intenzione di punire a tutti i costi e più severamente gli scafisti, ma che nella realtà non fa altro che scagliarsi contro chi per primo è vittima dei trafficanti di esseri umani, perché talvolta per fuggire a regimi, guerre e persecuzioni alcuni naviganti acconsentono di mettersi alla guida delle imbarcazioni. In questa logica del “colpevole ad ogni costo” sono le stesse vittime a essere criminalizzate, come è appunto successo a Maysoon e Marjan, martiri prima nel loro Paese e poi nel nostro.