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Dopo la morte di Masha Amini manifestazioni in 80 città del Paese asiatico
In Iran, proprio nel giorno del Natale appena trascorso, sono stati raggiunti i 100 giorni di proteste contro il regime politico che guida il Paese e contro e la repressione degli ayatollah. Quella inizialmente partita come una “rivolta delle donne”, negli ultimi tre mesi è diventata una manifestazione molto più ampia, che coinvolge vari settori della società, ormai in pieno subbuglio.
Proteste continue da tre mesi
In questi ultimi tre mesi il regime ha represso duramente le proteste e le rivendicazioni del popolo iraniano, che scende in piazza ogni giorno dopo la morte sospetta della giovane Masha Amini.
Nelle ultime ore una importante e autorevole voce critica si è alzata contro i vertici politici di Teheran. A prendere posizione pubblicamente è stato Mahmoud Ahmadinejad, presidente del Paese dal 2005 al 2013.
Lo stesso ex presidente non è certo un riformatore, visto che durante la sua guida governativa mantenne una linea politica conservatrice e tradizionalista, sempre accompagnata da attacchi durissimi contro lo Stato di Israele.
Ahmadinejad, in un video diffuso dall’agenzia di stampa Rouydad24, ha frontalmente polemizzato contro le autorità di Teheran in merito alle proteste.
Per l’ex presidente, il governo deve ascoltare le esigenze della gente e affrontare i problemi concreti del popolo. Altrimenti ha detto «potremmo non avere la possibilità di recuperare in futuro. Il denaro speso per reprimere le persone dovrebbe essere speso per risolvere i problemi del Paese».
18mila arresti e 500 morti?
La posizione dell’ex Presidente iraniano rappresenta una sorpresa perché una nuova e significativa voce si è schierata al fianco di chi protesta, a conferma che il malessere in Iran è molto diffuso e rischia di travolgere un regime politico finora apparso insensibile ai cambiamenti ed alle istanze di tutela dei diritti delle donne e dei cittadini.
Dal giorno in cui si è diffusa la notizia della morte della giovane Masha Amini, manifestazioni e proteste non si sono mai fermate e finora hanno visto coinvolte almeno 80 città dell’Iran. Tuttora però l’iniziativa popolare continua a non avere leader né una regia ben precisa. Secondo le stime delle Nazioni Unite più di 14.000 persone sarebbero state arrestate tra i manifestanti. Human Rights Activists in Iran , invece, sostiene che dietro le sbarre siano finiti almeno 18.000 persone e oltre 500 manifestanti sarebbero stati uccisi. Come è noto l’attuale regime politico è al potere nel Paese asiatico dal 1979 quando avvenne la Rivoluzione islamica contro lo scià Reza Palhavi. La pena di morte attualmente viene applicata in nome dei principi sacri della Shari’a, la legge islamica, secondo la quale chi protesta contro il regime di Teheran si porrebbe in guerra contro Dio.
Il ruolo dei Pasdaran e la lotta intestina con l’esercito
Ruolo fondamentale in 43 anni di regime islamico a Teheran è svolto dai Guardiani della rivoluzione islamica, meglio noti come Pasdaran – plurale della parola pasdar che, in persiano, significa “colui che veglia”. I Pasdaran sono fondamentali per l’Iran contemporaneo perché oltre ad essere un contingente militare rappresentano il simbolo della Rivoluzione del 1979.
In Iran i Guardiani della rivoluzione rispondono direttamente alla Guida suprema del Paese, Ali Khamenei: i loro compiti sono rivolti alla gestione dell’ordine pubblico interno. Di fatto, quindi, vanno a completare le forze armate tradizionali con le quali tra l’altro vige una guerra sotterranea. E proprio l’esercito ufficiale iraniano verrebbe sospettato di remare contro il regime dall’interno. Nei mesi scorsi è comparso un documento in cui si prende posizione relativamente alle proteste e alla tenuta delle armate (https://www.iranintl.com/en/202211179779).
Secondo il governo di Teheran la narrazione ufficiale in merito alle proteste è che la nazione islamica sarebbe sotto attacco dall’esterno e vittima di un complotto orchestrato dai soliti nemici della Rivoluzione, Stati Uniti e Israele.
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