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13 Dicembre 2024Iran: la nuova legge dell’hijab e della castità punisce le donne in quanto donne.
Il regime teocratico della Repubblica islamica sta diventando sempre più violento. La repressione esercitata dal regime contro oppositori politici, dissidenti, manifestanti del movimento “Donna Vita Libertà”, si è in questo periodo intensificata con un aumento delle condanne a morte che riguardano principalmente prigionieri politici. Tra i “nemici” del regime ci sono però anche le donne.
Il 30 Novembre infatti è stato pubblicato il testo completo di una nuova legge che aumenta le pene per le donne che rifiutano di indossare l’hijab obbligatorio in pubblico; legge che da una parte impone un indottrinamento ancora più severo e sistematico rispetto a quello già esistente (tanto che l’avvocata e attivista per i diritti umani Nasrin Sotoudeh ha definito questi provvedimenti medioevali), e dall’altra tende a un annullamento della donna che viene punita semplicemente per il fatto di essere donna, di esistere in quanto tale. Un provvedimento che va oltre la discriminazione di genere, esso infatti si può definire di apartheid di genere, in quanto la donna è colpita, e punita, in ogni sua sfera.
Questo disegno di legge è conosciuto come “Legge a sostegno della famiglia attraverso la promozione della cultura dell’hijab e della castità” (abbreviato حجاب و عفاف) ed è diventato legge dopo un lungo tira e molla tra il Majles e il Consiglio dei Guardiani. Il parlamento iraniano infatti aveva originariamente approvato la legge nell’Ottobre 2023, ma da allora il testo ha subito diverse revisioni a seguito delle richieste del Consiglio dei Guardiani del regime che esamina tutti gli statuti per garantirne la coerenza con l’ideologia islamista di Teheran.
Dentro la legge: che cosa prevede e analisi dei contenuti
La Legge a sostegno della famiglia attraverso la promozione della cultura dell’hijab e della castità è formulata in 74 articoli e in cinque capitoli. Il primo capitolo di questa legge si occupa delle “Generalità”, il secondo dei “Doveri generali degli organi esecutivi”, il terzo dei “Doveri specifici degli organi esecutivi”, il quarto dei “Doveri pubblici e responsabilità sociali” e il quinto capitolo dei “Reati e violazioni”.
Primo Capitolo. “Generalità”.
Oltre alle istituzioni governative esecutive responsabili, il fulcro portante di questa legge è la famiglia, intesa come centro principale della crescita umana, dell’eccellenza e della tranquillità. Non a caso la prima parte intitolata “Generalità” è dedicata interamente alla famiglia e a ricordare come: la nudità, l’indecenza, l’abbigliamento improprio e il non uso corretto dello hijab in contesti pubblici (quindi in presenza di non mahram – membro della famiglia) e virtuali, siano condotte deprecabili e condannabili, in quanto considerati atti contro il pudore pubblico che turbano la quiete degli uomini e delle donne. In questa parte che definirei “dedicata alla Famiglia” si fa ovviamente riferimento alla Sharia.
Tale riferimento alla famiglia non sorprende. A tal proposito è sufficiente ricordare come durante i processi e la detenzione, i prigionieri politici siano spesso tacciati di “disonorare la loro famiglia”, e provando a fare leva su questo senso di colpa e vergogna si prova a indurre gli imputati a confessare reati che non hanno compiuto.
Secondo Capitolo. “Doveri generali degli organi esecutivi”.
Parte, questa, che non appare molto lunga. In sintesi si dispone agli organi esecutivi di sviluppare programmi per l’Organizzazione della Propaganda Islamica, in particolare nel settore della moda (Gruppo di Lavoro per l’Organizzazione della Moda e dell’Abbigliamento).
Da segnalare sono in tal proposito sono l’art 5: “Il gruppo di lavoro per l’organizzazione della moda e dell’abbigliamento è tenuto a preparare linee guida annuali per la progettazione, la produzione e la fornitura di abbigliamento e favorire le condizioni per l’importazione di abbigliamento appropriato allo stile di vita islamico orientato alla famiglia e alla cultura della castità e dell’hijab per le agenzie del ramo esecutivo pertinenti e tutte le professioni e industrie correlate sulla base dei criteri approvati dal Consiglio generale della cultura dello Stato e approvati dal Consiglio supremo della rivoluzione culturale”. E l’art. 6: “La produzione di chador (velo) in tessuto nero, di maqnaeh (copricapo) in tessuto nero, nonché la produzione di mantelle in conformità ai criteri approvati menzionati nell’articolo 5 della presente legge sono considerati esempi di attività culturali soggette al paragrafo 1 dell’articolo 139 della legge sulle imposte dirette, approvata il 22 febbraio 2018, con successive modifiche e integrazioni.”.
Terzo Capitolo. “Doveri specifici degli organi esecutivi”.
In questo capitolo sono descritti i compiti e le funzioni che le varie istituzioni governative (tra cui Ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico, l’Organizzazione di Propaganda Islamica, il Ministero dell’Istruzione, il Ministero della Scienza, della Ricerca e della Tecnologia, il Ministero della Salute…) devono eseguire affinché la legge venga applicata. Ad esempio l’art.8 nota 1 precisa che l’Organizzazione Radiotelevisiva della Repubblica Islamica dell’Iran è obbligata a “Preparare e trasmettere programmi televisivi per promuovere i simboli e i modelli dello stile di vita islamico orientato alla famiglia e alla cultura della castità e dell’hijab con una particolare attenzione sui bambini e sugli adolescenti, evitando di promuovere modelli individualistici e anti-famiglia nella trasmissione dei programmi televisivi”.
Mentre nella nota 5, sempre all’interno dello stesso articolo, si ordina all’Organizzazione Radiotelevisiva di “non concludere contratti con persone fisiche o giuridiche che incentivano la nudità, l’indecenza, il pudore, l’abbigliamento improprio o che hanno cercato di contrastare le politiche dello hijab e della castità”.
Ovviamente il divieto di assumere persone che violano tale legge è valida per moltissime imprese.
Proseguendo poi con la lettura degli articoli si entra nella sfera universitaria e della ricerca. L’art 11, ad esempio ordina al Ministero della Scienza, della Ricerca e della Tecnologia di agevolare matrimonio tra studenti e la creazione di campus universitari per coppie sposate; anche qui dunque si torna alla famiglia, base della società islamica. Mentre l’art.12 asserisce che il Ministero della Sanità e dell’Educazione Medica ha il dovere di sorvegliare come vestono professori, studenti e dipendenti, compresi i medici, il personale dei centri medici e gli operatori sanitari pubblici o di organizzazioni non governative e dei loro centri affiliati (ospedali, cliniche, farmacie, laboratori, ecc.).
Se ne deduce che ogni settore, da quello culturale a quello universitario e sanitario, diventa centro per propagandare ideologie basate sull’annullamento della figura femminile e l’esaltazione della coppia.
Con l’art.14 si entra invece in una parte interessante in quanto si parla dei cittadini stranieri. Con questo articolo si sancisce l’obbligo da parte del Ministero dell’Interno di “informare i cittadini stranieri delle leggi e dei regolamenti in materia di castità e hijab e supervisionare che rispettino tali leggi”.
Il monitoraggio degli stranieri è menzionato anche nell’art.24 nota 4: “Informare i turisti sulle leggi della Repubblica Islamica dell’Iran riguardanti le usanze islamiche e culturali e monitorare i gruppi di turisti stranieri”. Degli stranieri si parla anche nell’art.25 dove si ordina al Ministero dell’Informazione e dell’Organizzazione dell’Intelligence della Repubblica Islamica dell’Iran di: “monitorare e analizzare l’interferenza dei cittadini stranieri e della guerra cognitiva del nemico in materia di castità, hijab, famiglia, e individuare centri e attività che promuovono la prostituzione e la cultura dell’individualismo”.
A tal proposito sarebbe molto interessante capire in che modo le autorità iraniane intendano controllare i cittadini stranieri mentre si trovano in Iran, e se non sia il caso che gli Stati stessi informino di queste misure i cittadini che intendono mettersi in viaggio verso l’Iran, semmai scoraggiandoli di partire.
Facciamo ora un passo indietro e andiamo all’art.20 che, in qualche modo, riguarda la sfera dell’infanzia. Nel testo dell’articolo si legge: “Per realizzare gli scopi della presente legge, il Ministero dell’Economia e delle Finanze è tenuto a svolgere i seguenti compiti: Vietare l’ingresso di abiti, statue, bambole, manichini e dipinti e prodotti che promuovono la nudità…”.
Il tema giochi e delle bambole era già stato introdotto nell’art.5 e sarà successivamente ripreso anche nell’art.44. Questa parte sul controllo dei giochi (più precisamente sulle bambole) comunque non è certo una novità per la Repubblica islamica. C’è infatti un precedente: nel Gennaio 2012 in Iran si vietò il commercio delle Barbie, già dichiarata prodotto non islamico nel 1996, e venne sostituita dalle bambole tipiche Dara e Sara prodotto creato nel 2002. Le Barbie non furono però gli unici giochi a essere banditi, anche i Simpson, i giocattoli che diffondevano voci dei cantanti occidentali, o i set da cucina giocattolo che includevano bicchieri per bere bevande alcoliche furono vietati. Ciò dimostra come il regime iraniano voglia, fin dall’infanzia, inculcare le ideologie religiose impedendo una educazione e formazione spontanea e libera.
Dall’art.29 in poi di questo capitolo si dedica spazio alle figure destinate al controllo, come ad esempio il Comando di Polizia della Repubblica Islamica dell’Iran (Faraja) obbligato a “realizzare e rafforzare sistemi di intelligence per identificare gli autori di comportamenti illegali utilizzando strumenti come telecamere fisse e mobili e intelligenza artificiale”. Mentre nell’articolo successivo si citano le forze paramilitari Basij, che hanno il ruolo di diffondere la cultura della castità e dell’hijab nel mondo reale.
Quarto Capitolo. “Doveri pubblici e responsabilità sociali”.
Questa parte, composta di solo 4 articoli, è dedicata a incentivare a far rispettare questa legge sul posto di lavoro e nei luoghi pubblici, sia reali che virtuali. Condizione essenziale per ricevere nomine, promozioni, aumento di ruolo e grado e privilegi e incarichi negli organi esecutivi, è osservare e rispettare tale legge.
Quinto Capitolo. “Reati e violazioni”.
Con il quinto Capitolo si entra in una sezione dedicata perlopiù alle sanzioni e multe da infliggere a chi viola i regolamenti di tale legge o ne favorisce la trasgressione nel cyberspazio e nei luoghi reali. Una parte decisamente densa. L’Art.40, ad esempio, stabilisce che i titolari di imprese virtuali e reali se colpevoli di promuovere nudità, indecenza e non corretto uso dello hijab saranno sanzionati con multe piuttosto alte, oltre al divieto di lasciare il Paese da un minimo di 2 a un massimo di 6 anni. Queste sanzioni variano a seconda del grado di giudizio.
Ma non finisce qui. Stando all’art.43: le piattaforme sono obbligate a disporre di meccanismi umani e intelligenti per adattare il contenuto in base alle approvazioni del Consiglio Supremo del Cyber Spazio, impedendo in questo modo la pubblicazione di contenuti che promuovono la nudità e provvedendo alla loro cancellazione (nell’articolo si invita a rimuovere tali contenuti il prima possibile entro un massimo di dodici ore). In caso di negligenza nel rimuovere tali contenuti, al proprietario o ai proprietari della piattaforma verranno imposte multe alquanto consistenti.
Tali imposizioni valgono naturalmente anche per l’utente che utilizza tali ambienti virtuali. Se ne deduce che per evitare le varie sanzioni i proprietari delle piattaforme intensificheranno il controllo impedendo ancora di più la libera circolazione di informazioni e tracce audiovisive necessarie, ad esempio, per denunciare gli atti persecutori e violenti degli uomini del regime.
Si entra poi nella disamina degli abiti impropri. Nella nota 1 dell’art.48 viene introdotta la definizione di “cattivo abbigliamento per le donne”, così definito: “Indossare indumenti che mostrino una parte del corpo sotto il collo o sopra le caviglie o sopra gli avambracci o abbigliamento che istighi la provocazione altrui.” La nuova legge però non si limita a definire l’abbigliamento femminile, nella nota 2 dello stesso articolo si precisa cosa si intende per “cattivo abbigliamento” per l’uomo, ossia: “Indossare abiti contrari al pudore pubblico, come abiti succinti o poco coprenti ad esempio, ossia qualsiasi tipo di abbigliamento contrario alla castità e alla moralità islamica che contribuisca a peccare e a provocare gli altri”. Nello stesso articolo si introduce il tema delle multe: qualsiasi persona (uomo o donna) in pubblico con abiti immodesti, in spazi reali o virtuali, verrà multata di 6,7 milioni di toman. In un secondo caso, oltre alla prima multa, verrà imposta un’ulteriore multa di 120.000 toman. In un terzo caso, verrà imposta una multa da 20 a 80 milioni di toman e in un quarto caso una multa da 80 a 165 milioni di toman. Dopo quattro volte, possono essere condannati a due o cinque anni di carcere.
Ma non finisce qui: l’art 49 stabilisce che qualsiasi persona (uomo o donna) che appare in spazi pubblici reali o virtuali “in nudità o con abiti considerati inappropriati” (la legge equipara la rimozione dell’hijab alla nudità) verrà immediatamente arrestata e condannata alla reclusione da 5 a 10 anni o a una multa da 330 milioni di toman fino a 500 milioni di toman. In caso di recidiva, le pene sono aumentate.
Con l’art.53 invece si introduce un argomento di cui ci eravamo già occupati nell’articolo Iran, Guerra alle donne. “Chiunque guidi un veicolo a motore non indossando correttamente l’hijab o vestendo in modo improprio commette un crimine e sarà sanzionato dalla polizia stradale” si legge nel testo di legge. Non certo una novità in quanto, come scrivevo nell’articolo di Maggio: “Ancor prima dell’introduzione del piano Noor avviato ad Aprile, il regime iraniano ha attuato pratiche repressive verso le donne che viaggiano in auto. Attraverso l’app della polizia Nazer, basata su una tecnologia simile ai dispositivi portatili utilizzati per le multe elettroniche, agenti in borghese hanno pattugliato le strade, catturando l’immagine delle auto in cui all’interno ci sono donne che non indossano il velo. A quel punto coloro che hanno violato la legge ricevono minacce e viene emesso l’obbligo di confisca dell’auto”. Anche in questa legge d’altronde si fa menzione dell’utilizzo di sistemi tecnologici per identificare i cittadini nei luoghi pubblici e monitorare il loro comportamento.
Da questa analisi emerge una politica discriminante verso le donne, ma anche verso tutti e tutte coloro che vogliono vivere liberamente, e per questo è importante continuare a sostenere il popolo iraniano che lotta pacificamente per la libertà e la giustizia.
Testo legge in inglese: Center for Human rights in Iran
Testo legge in farsi: Vokala Press, agenzia di stampa degli avvocati iraniani
credit foto Hossein Fatemi via Unsplash