Università Usa, tra proteste e sgomberi, arriva il tempo dei diplomi
3 Maggio 2024Usa, cosa sta succedendo nelle Università
6 Maggio 2024Iran, la politica del terrore continua
Condannato a morte il cantante rap Toomaj Salehi e scomparso l’attivista kurdo Hossein Bagheri, mentre i manifestanti sono trattati come nemici armati e gli oppositori iraniani che provavano a scappare sono rimpatriati.
In Iran, in un silenzio pressoché generale, continuano le vessazioni, le violenze e le condanne a morte verso coloro che si oppongono al regime degli ayatollah. Tra queste a fare scalpore in questi giorni è la sentenza di morte verso il cantante rap Toomaj Salehi. In un’intervista al quotidiano Sharq, riporta Iran Human Right, uno degli avvocati, Amir Raeisian, ha dichiarato che Toomaj è stato condannato a morte con l’accusa di efsad-fil-arz (corruzione sulla terra).
Oltre alle condanne a morte che continuano ad essere emesse senza sosta nell’indifferenza dei governi occidentali, sono riprese in maniera più aggressiva e sistematica anche le violenze, le torture e l’incarcerazione verso le donne e le ragazze che decidono di uscire senza il velo o che si ribellano alle autorità morali.
Ma non finisce qui: due report usciti recentemente rivelano che il regime si sarebbe servito di altre strategie punitive e aggressive da attuare contro i cittadini e gli oppositori attivi nelle manifestazioni del movimento “Donna, Vita, Libertà”.
Manifestanti trattati come combattenti
Il report di Justice for Iran, Waging War on Civilians: Expositioning Iran’s Repressive Units and Crimes Against Humanity, denuncia che le autorità iraniane hanno cercato di reprimere le proteste del movimento “Donna, Vita, Libertà” come se si trattasse di un conflitto armato, etichettando i manifestanti, seppur pacifici e disarmati, come combattenti.
Il dossier riporta che dal 21 settembre 2022 molti funzionari governativi hanno utilizzato la parola “guerra” o l’espressione “guerra ibrida” per descrivere le proteste sfociate dopo l’uccisione di Jina Mahsa Amini, paragonandole addirittura al conflitto Iran-Iraq degli anni ‘80. Nelle dichiarazioni analizzate da Justice for Iran inoltre emerge che per riferirsi ai manifestanti è stato spesso usato il termine “Moharebeh”, espressione islamica utilizzata per indicare i ribelli o i guerriglieri, e capo d’accusa punibile con la pena di morte e utilizzato perlopiù contro i dissidenti.
A chi protestava, dunque, è stato riservato un trattamento che generalmente si impiega per sedare minacce di carattere militare, dispiegando unità militari e forze di sicurezza autorizzate a usare la forza armata, torturare e terrorizzare.
«I recenti avvenimenti sono eventi di guerra ibrida, non semplici rivolte» così, ad esempio, si esprimeva Alì Khamenei il 2 novembre 2022 sull’organo di propaganda Isna, agenzia di stampa degli studenti universitari. Un’asserzione che sarà poi presa come “modello” da molti altri funzionari che, nella sostanza, ripeteranno il medesimo concetto.
Ancor prima invece, il 21 settembre 2022, il governatore di Teheran, Mohsen Mansouri, si espresse così: «Superare queste condizioni difficili è solo possibile con lo spirito della Santa difesa, del sacrificio e del martirio», a proposito va precisato che la “Santa difesa” è stato un termine ampiamente utilizzato dai funzionari iraniani per la guerra Iran-Iraq.
Affermazioni, queste, che svelano l’intolleranza, la brutalità e il fanatismo religioso degli uomini del regime; non a caso contro i cittadini che pacificamente esprimevano le loro idee sono state dispiegate unità di combattimento tra cui il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie (IRGC) e le Forze speciali di Basij, nonché anche alcuni battaglioni armati.
Nel report si legge:
«Oltre ai singoli cittadini, le forze di sicurezza avrebbero preso di mira auto di passaggio, trasporti pubblici, edifici residenziali e commerciali, centri medici e ospedali, instillando paura tra i cittadini, provocando la morte o il ferimento dei manifestanti, spettatori e residenti di tali edifici, compresi bambini dai 5 ai 9. Le forze di sicurezza hanno inoltre deliberatamente attaccato civili con l’intento di uccidere, mutilare o infliggere grave dolore fisico e sofferenza, con l’unico scopo di terrorizzare i cittadini e scoraggiarli di unirsi alle proteste».
L’ IRGC intercetta i dissidenti che cercano di fuggire dall’Iran
Lo studio pubblicato dall’Organizzazione Hengaw il 10 Aprile 2024 e dal titolo The Unprecedented Attempt of the Islamic Republic to Abduct Political and Civil Activists in the Region, ha rivelato che la Repubblica islamica ha intercettato, grazie a uomini del regime infiltratesi nelle reti di traffico di esseri umani, oppositori iraniani che provavano a scappare in Turchia o nella regione del Kurdistan iracheno (il Bashur).
Hengaw ha informato che gli attivisti politici e i civili che a causa della repressione fuggivano dall’Iran per trovare rifugio in Turchia o nel Kurdistan iracheno, durante il viaggio venivano intercettati dalle Guardie di sicurezza e rapiti per essere rispediti in Iran, dove, una volta arrivati, avrebbero subito pesantissime condanne oltre che trattamenti carcerari inumani.
Un attivista residente nella regione del Kurdistan, e che per ovvi motivi ha scelto di rimanere anonimo, ha riferito ad Hengaw: «L’intelligence dell’IRGC ha cercato di identificare e trovare attivisti e dissidenti iraniani in Turchia. Per ricavare informazioni utili gli agenti delle Guardie rivoluzionarie esercitano forti pressioni psicologiche sui famigliari residenti in Iran affinché collaborino (in caso di mancato aiuto si passa alle minacce e ai ricatti); dopodiché provano, in cambio di ingenti somme di denaro e altri incentivi, a estorcere informazioni anche ad altri attivisti politici e civili presenti sul territorio turco».
Una volta raggiunto il loro scopo, gli oppositori vengono rapiti e rimpatriati in Iran, ma non sono pochi gli attivisti che al momento risultano scomparsi.
In merito è doveroso citare la recentissima scomparsa di Hossein Bagheri (Jakan Baran), attivista kurdo e richiedente asilo politico nel Kurdistan iracheno, dal 23 marzo infatti nessuno ha più sue notizie, suscitando molta preoccupazione all’interno della comunità in cui lavorava e nella sua famiglia. Già in passato, precisamente tra il 2017 e il 2019, Bagheri era stato arrestato a Ilam dalle forze di sicurezza a causa del suo attivismo politico, per questo era stato costretto a lasciare l’Iran circa cinque anni fa. Oggi la sua scomparsa fa pensare che possa essere stato prelevato dalle Guardie di sicurezza e che il suo destino possa essere tragicamente uguale a quello di tanti altri cittadini e cittadine iraniani “colpevoli” soltanto di essersi opposti al regime degli ayatollah.