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di Hilario Atienzo
editore e vignettista satirico, venezuelano.
Il Venezuela, fino a poco tempo fa, era un Paese con grandi obiettivi e prospettive. Anche se all’interno della nazione vi erano differenze politiche estreme, il Paese ha portato avanti un programma di sviluppo industriale tra i più importanti tra gli Stati Latini. Coadiuvato anche da un sistema giuridico che combatteva la corruzione nell’élite politica e permetteva alla stampa la tutela e la libertà d’informazione. Certo, veniva preferita una linea giornalistica che appoggiasse il partito di governo del momento, ma i mezzi di informazione di opposizione erano diffusi e tollerati. Il ruolo del vignettista era una professione molto ricercata ed apprezzata poiché conferiva un tocco di “humor” alla realtà’ trascritta nei periodici e, soprattutto, molto utilizzata in seguito per la propaganda mediatica. Ricordo che anche i bambini, all’interno dell’istruzione di base, oltre a studiare il disegno, potevano seguire dei corsi gratuiti e partecipare a concorsi per permettere di stimolare sin da piccoli la loro creatività, a cui ho aderito anch’io. I grandi editori nazionali sviluppavano progetti editoriali anche all’interno delle Università, dove si insegnava la fotolitografia e la serigrafia.
Oggi è più difficile portare avanti la professione editoriale, sono tante le difficoltà anche pratiche che ne ostacolano la produzione. Censura, difficoltà nel reperire le risorse sia economiche che materiali, la paura di ricevere pressioni politiche da entrambi gli schieramenti, le difficoltà negli spostamenti, la mancanza di sicurezza, hanno reso questa professione complicata da intraprendere. Il Venezuela era un Paese generoso al pari degli altri Paesi fratelli, sia Sudamericani che Nordamericani. Accoglieva molti cittadini stranieri e poteva offrire loro lavoro. Si stava vivendo una forma di democrazia non perfetta, ma sicuramente superiore alla dittatura cilena e argentina, che ha permesso di costruire un paese migliore. Al contrario, col passare degli anni si iniziavano ad ascoltare i discorsi provenienti dalla vicina Cuba e si ammiravano le gesta di uomini carismatici come Fidel Castro e Che Guevara che venivano considerati dei condottieri sociali. Grazie alla propaganda comunista si credeva che il popolo cubano vivesse meglio di noi, si diceva che l’istruzione avesse sconfitto l’analfabetismo e con innocenza si guardava e si ammirava il modello politico-sociale dell’isola.
Che fine ha fatto la nostra politica? È cambiata dall’essere di metodo democratico ad un modello che appare al resto del mondo democratico, ma internamente è un regime nato dalla fusione del comunismo e socialismo iniziato alla fine degli anni Novanta. Col passare degli anni abbiamo visto sgretolarsi poco alla volta le libertà che avevamo vissuto e che storicamente sono state conquistate dai nostri antenati. Abbiamo creduto di essere diversi da Cuba perché loro, vivendo su un’isola, sono isolati dalle influenze estere. Invece abbiamo conosciuto l’ipocrisia dei miti e la forza della “dialettica propagandistica” e ciò che, col sudore e con i sacrifici è stato costruito, è andato via via spogliato dalla sua reale importanza per essere trasferita a vantaggio di pochi.
La politica autoritaria e di regime ha stravolto socialmente ed economicamente un Paese in crescita economica e ricco di risorse naturali. La corruzione e l’inflazione ormai fuori controllo non permettono più di poter vivere solo del proprio lavoro o dei risparmi ottenuti da una vita di sacrifici. È difficile da spiegare, ma si può fare un esempio pratico. Un obiettivo di vita per dare sicurezza alla propria famiglia era quello di poter avere una propria casa: il costo che si corrispondeva nei primi anni 2000 per costruirla, adesso equivale alle spese che una famiglia sostiene in due giorni. Gli stipendi non sono stati più adeguati, in proporzione, al crescente aumento dell’inflazione. Le conseguenze che ha generato la crisi economica vanno oltre al divario sociale. Non esiste più il ceto medio della popolazione, la maggior parte oggi vive sotto la soglia di povertà. Le famiglie per sostenere il costo della vita sempre crescente sono costrette ad emigrare, abbandonare il proprio lavoro, generando una mancanza di personale nei servizi essenziali oppure a “sopravvivere” in situazione di disagio grazie all’aiuto di parenti che lavorano all’estero, o nella più brutta delle ipotesi seguire la strada della delinquenza. I servizi non sono più garantiti. In molte ore della giornata manca la corrente elettrica e, se una volta il carburante costava meno di un litro di acqua potabile, attualmente l’ormai obsoleta industria petrolifera non riesce a produrre e raffinare il combustibile giornaliero necessario per l’uso pubblico e privato, causandone una semi-paralisi dei trasporti. È difficile spiegare a chi non ha vissuto in questa realtà come decisioni politiche scellerate e un sistema autoritario possano aver trasformato una nazione in cui si viveva bene in una che ha privato e priverà di libertà i nostri figli e i nostri nipoti. La speranza è che, col tempo e col coraggio, si possa superare questo periodo storico grigio e ridare lustro ad un Paese che momentaneamente ha smarrito le virtù.