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30 Novembre 2021La rivoluzione del “Sii gentile”
L’intervista all’illustratrice Sabrina Ferrero
di Lorenza Cianci
In occasione del mese dedicato alla giornata mondiale della gentilezza, intervistiamo Sabrina Ferrero, illustratrice di origini piemontesi e di adozione perugina. Che ha fatto della gentilezza un’opera d’arte. Nel 2018, infatti, insieme a tanti progetti creativi, ha lanciato il “Sii gentile”, “spunti di gentilezza” illustrati: fanno riflettere, sorridere, aprire la mente, alla realtà e al mondo. Sono, come lei stessa illustra, veri e propri «gesti rivoluzionari».
Ciao Sabrina Ferrero. Vorrei che Lei si presentasse attraverso gli eventi di vita, gli incontri e i “segni” che sono stati fondamentali nel suo percorso di crescita artistica.
«Sono un’illustratrice e autrice. Il mio lavoro si orienta molto alla creazione di libri, activity book, diari, per bambini e per adulti. Io, come formazione, sono una grafica pubblicitaria: ho lavorato molti anni in quel settore. Ma l’illustrazione era la mia passione: ho lavorato parecchio, per riuscire a diventare illustratrice. Lo sono diventata in modo, forse, inusuale: i social sono stati molto importanti su questo. Una decina di anni fa, ho aperto una pagina Facebook. Avevo aperto anche il mio blog, Burabacio.it, in cui raccontavo le mie giornate o scrivevo dei piccoli testi. Per me, la scrittura è sempre stata molto importante: il disegno e l’illustrazione sono sempre stati un modo per raccontare qualcosa, per tirare fuori qualcosa da dentro. Il mio è un disegno orientato a veicolare qualcosa. E mi sono sempre orientata a cercare di far passare messaggi positivi. Positivi: perché mi sembra ne valga la pena, di disegnare per un beneficio a qualcun altro. Non aggiungere qualcosa di negativo: che già, ne abbiamo tanto. Mi piaceva andare alla ricerca del positivo. Attraverso il blog e i social, ho iniziato a pubblicare i miei disegni. Ho iniziato ad avere i primi clienti, le prime persone interessate. Ho iniziato ad avere collaborazioni. Mi hanno contattato, come primo lavoro editoriale, da Mondadori Electa, per fare una guida di Milano. E niente: lì è iniziata, diciamo un po’, la mia carriera».
Burabacio è la sua prima, fortunata, firma d’autrice. Ricorda le sue radici torinesi, il suo affetto per una persona importante e la sua concezione di “Meraviglia”. Ci vuole spiegare la genesi di questo nome?
«Una decina di anni fa, decido di darmi una possibilità come illustratrice. Perché io, come tante persone probabilmente, ho iniziato cercando di fare la cosa più ragionevole. Di non provare con l’illustrazione: perché di disegni non si mangia. Ed effettivamente, ho lavorato tantissimi anni come grafica in studi di comunicazione. Però, avevo questo tarlo: che, in realtà, volevo fare altro. Quindi, decido di darmi una possibilità, e decido di farlo attraverso un blog. Il nome l’ho scelto in quattro e quattr’otto: io faccio veloce, non sono una persona che ci pensa troppo. La prima parola che mi è venuta in mente è una parola dialettale, “burabacio”. Che diceva spesso la mia nonna materna, quando mi vedeva disegnare. Non è un complimento: perché “burabacio”è uno “scarabocchio”. Qualcosa che non è che esce molto bene, non è un disegno impegnato. Però mia nonna me lo diceva. Tante volte, si dice anche “burabaciu”, con la u, o “fai altri burabaci”: però a me piaceva tenere quel bacio nella parola. Così ho registrato il dominio, ho chiamato il blog “Burabacio” e ho iniziato a firmarmi “Burabacio”. Senza un momento di ripensamento. E ho sempre tenuto quello: è un nome che si ricorda in fretta; questa parola, bacio, nel mezzo; il ricordo di mia nonna; è una parola dialettale, ricorda le mie radici piemontesi. Mi è sempre sembrata perfetta, per identificare il mio lavoro».
Veniamo alla parola d’onore del giorno: la gentilezza. Lei ha inaugurato il “Sii gentile” nel 2018, una tela di “spunti di gentilezza” illustrati, diffusi sui social con un appuntamento fisso il lunedì. Accolti dal pubblico del web entusiasticamente. Com’è nata questa esperienza artistica?
«È nata da un’intuizione. Diciamo…da una necessità mia, probabilmente. Partendo dall’inizio, ho preso l’abitudine, da qualche anno, di scegliere una “parola dell’anno”. Senza crederci in modo particolare: insomma, non ho mai pensato che tutto il mio anno avrebbe camminato su quella parola. E, invece, quell’anno, è andata così. Quell’anno, ho scelto la parola gentile. Poi, tra le varie riflessioni che mi capita di fare, che scrivo, che riscrivo sui social, che tengo sul blog (scrivo molto sui quaderni, mi aiutano a creare dei disegni, delle illustrazioni), inizio a pensare che mi sarebbe piaciuto trovare più gentilezza in giro. Che saremmo stati meglio tutti con dei piccoli gesti gentili, non eclatanti. Che mancava proprio, tante volte, una gentilezza minima: proprio quella di chi saluta al mattino; risponde al tuo saluto, incontrandoti per strada. E così, un giorno, decido di mettermi a scrivere piccole riflessioni, spunti di gentilezza. Molto semplici. Scrivo questo: Sii gentile con le altre persone, sarai un momento bello nella loro giornata… una cosa di questo tipo. Il primo. E decido di pubblicarlo, un po’ vergognandomi, perché mi sembrava una cosa… non dico banale, ma forse un po’ scontata. E invece iniziano a rispondere tantissime persone: mi scrivono in privato, sia da Facebook sia da Instagram. E tanti dicono la stessa cosa: “anch’io, anch’io, anch’io vorrei trovare più gentilezza!”, “io vorrei essere più gentile, ma faccio fatica”. E, così, scopro che non era un’esigenza solo mia. Ma che, probabilmente, in giro le persone sentivano la necessità, la mancanza di questa gentilezza. Così prendo coraggio e ogni lunedì pubblico un “Sii gentile” nuovo, che va molto sullo specifico. Perché mi sono sempre detta che una gentilezza astratta serve a poco: grandi temi, ma senza mai andare nello specifico… diventa un po’ difficile da mettere in partica. Quindi è proprio gentilezza piccolissima: “sii gentile con il dolore degli altri”, “sii gentile: usa la parola grazie”. Sono spunti che tutti possono cogliere: sono semplici. Mi ha sorpreso molto la partecipazione delle persone, anche nei messaggi privati».
Infatti, a postilla di questi suoi “biglietti di gentilezza illustrati” scrive che, per lei, “La gentilezza è un gesto rivoluzionario”. In che senso?
«Tanto tempo fa un signore, in treno, vedendomi disegnare mentre tutti gli altri erano con lo smartphone in mano, mi disse: “questo è un gesto rivoluzionario”. E io gli ho detto: “disegnare su un quadernino?”; e lui: “sì, è un vero gesto di sfida”. Essere gentile, in un mondo che ti porta a non esserlo. Le persone, quelle aggressive, il più delle volte sono molto ammirate. Sembra che una persona che ha sempre ragione (prendendosela, questa ragione, e non perché ce l’abbia: il più delle volte, perché fa in modo di ottenere tutto), sia anche un esempio da seguire. Sia quello furbo. Tante volte la gentilezza sembra quasi una cosa… “sì, la gentilezza! perché sei debole, non sai fare altrimenti”. E allora io mi sono detta: di mettersi dalla parte della gentilezza. E cercare di esserlo, in un mondo in cui magari vai ad accompagnare i tuoi figli all’asilo e non c’è quasi nessun genitore che ti ricambia il ciao. E di farlo, ogni mattina. È un gesto, oltre che coraggioso, rivoluzionario. Perché è la goccia che scava la roccia. Alla fine, insisti: così, magari, ti ritrovi alla fine dell’anno che ti salutano quasi tutti».
Mi ha colpito molto un “Sii gentile” pubblicato in un momento particolare per tutti noi, marzo 2020. Stavamo toccando con mano, e con dolore enorme, la malattia da Covid-19. Da casa, le informazioni in tv e suoi giornali erano davvero tante. Il suo “spunto illustrato” recita così: «Sii gentile e responsabile: scrivi, diffondi e parla solo delle informazioni che puoi verificare. Le bufale corrono veloci e sollevano nugoli di paura e odio». Che sensazione aveva, in quel momento, da artista?
«Ne ho avute tante. Ho avuto la sensazione, all’inizio, di essere un po’ in una bolla, di non capire bene. Essere in questa bolla, da cui non si esce. Di ostilità, anche: perché si è subito sollevata una grande ostilità, tra le persone. Chi ce l’aveva con i runner; chi ce l’aveva con chi correva, chi ce l’aveva con i proprietari di cani, chi ce l’aveva con le madri perché finalmente avrebbero smesso di andare al bar a prendere un cappuccino dopo aver portato un figlio a scuola, finalmente se ne stavano a casa. E tutti se la prendevano con tutti. Io, poi, ho i miei genitori a seicento chilometri di distanza; entrambi i lockdown sono stati molto faticosi, perché non ho potuto quasi vederli, per lunghi periodi: un’ulteriore preoccupazione. Le sensazioni sono state molte. Sono cambiate, nel corso di questo periodo lungo. Una sensazione è che si accrescesse tantissimo quest’odio, anche dalle tantissime informazioni buttate là, e ri-condivise alla leggera. C’erano tantissime informazioni che venivano diffuse, non controllate e date un po’ alla leggera a persone che, in preda un po’ all’odio e anche un po’ all’essere a casa e al non sapere come reagire alle situazioni, sfogavano lì. Cercavano sempre qualcuno o qualcosa per avere un motivo per odiare qualcun altro. E anche la sensazione di un grande groviglio interiore. Quello è stato anche un altro “Sii gentile”. Un groviglio di emozioni. Probabilmente, era anche normale essere un po’ impazienti con questa sensazione, anche nuova, con cui ci stavamo confrontando. Però, sì, mi faceva piacere provare a dare un invito alle persone: di selezionare con cura anche quello da ri-condividere. Perché c’è anche una responsabilità individuale, quando siamo sui social».
A proposito di questo, i suoi messaggi di gentilezza hanno incrociato anche tante altre tematiche importanti: la speranza nel futuro, il necessario dialogo con il prossimo, l’accettazione di se stesse. Se mi permette, appunto, anche la buona cittadinanza. Come, secondo lei, la gentilezza può abbracciare tutte queste dimensioni all’interno dell’esperienza artistica?
«Io vivo la mia esperienza artistica come qualcosa che non è né lontano, né un lusso. Né un di più, né distante dal mondo di tutti i giorni. La mia esperienza artistica sono i miei occhiali, con cui vedo il mondo. Il mio punto di vista. Quindi, davvero, abbraccia un po’ tutto. In qualche modo viene elaborato e diventa parole, diventa disegni. Con il “Sii gentile”, ad esempio, una maestra mi ha scritto dicendo di averci fatto un piccolo percorso di educazione civica con i bambini. Non è tanto strano pensare che la mia visione di gentilezza abbia questi aspetti di vocazione civica: perché sono tantissime le piccole cure che possiamo riservare agli altri, che sicuramente ci fanno vivere molto meglio in comunità. Se tu vuoi ascoltare i problemi di alcune persone che, magari, ti dicono di vivere male un momento, di viverlo con fatica… ti accorgi che non sono problemi così grandi, o irrisolvibili. Ma che sono diventati giganti perché li hanno vissuti da soli, perché nessuno si è mai fermato a dargli una mano. O loro non sono stati in grado di chiederla. Oppure l’hanno chiesta, ma non l’hanno avuta. E anche perché siamo in una società in cui raramente abbiamo il tempo e la forza di aiutarci. Tantissime cose, che non sono così eclatanti, potrebbero essere molto più facili da essere superate se solo, ogni tanto, ci dessimo una mano. La gentilezza può davvero aiutarci a vivere meglio in una comunità, anche a rompere la solitudine. Il Covid ce lo ha insegnato: è stato anche una storia di solitudine. L’ha vissuto meglio chi, magari, aveva qualcuno che gli telefonava, qualcuno a cui chiedere anche soltanto di lasciargli la spesa davanti a casa. Ci siamo accorti, invece, che tante piccole norme di mutuo aiuto le abbiamo perse, completamente perse. Quindi, sì: la mia esperienza artistica arriva da quello che vivo, da quello che vedo, ritorna tutto lì. Per questo i “Sii gentile” sono molto vari, li ho scritti tutti nell’arco di due anni abbondanti. E sono arrivati dai diversi momenti che ho vissuto e non possono non arrivare dal momento esterno. Non arrivano solo dal momento interno mio. Se arriva il Covid, mi sono detta: non posso far finta che non esista. Devo parlare di questo, perché è questo che abbiamo, in questo momento».
Ci regali, a chiusura di questa chiacchierata, uno suoi “spunti di gentilezza”: gliene saremo immensamente grate e grati.
«Ne ho uno che è amatissimo, mi stupisce sempre, per quanto è amato. Tante volte ritorna fuori da qualcuno anche dopo mesi che è stato pubblicato. Ritorna, viene ri-condiviso. Che è: “la gentilezza con il dolore nostro e altrui”. Di provare a essere gentili: con quel che provano gli altri, col dolore che non riusciamo a capire. Questo perché, in tanti anni in cui ho disegnato, scritto sui social, parlato con persone… mi sono resa conto di quanto abbiano bisogno di potersi sentire comprese in quello che provano, soprattutto nei momenti dolorosi. Di quanto poco riescono a farlo. Dare anche un piccolo spazio a quello che proviamo, anche se non è sempre positivo, divertente: dandogli la sua dignità. Ma anche a quello degli altri, soprattutto quando non riusciamo a capirlo e ci verrebbe immediatamente da giudicarlo. Fermarci un secondo, morderci la lingua. E lasciargli, perlomeno, il dubbio che possa essere così, come ce lo raccontano. Non dobbiamo per forza trovare una soluzione, nessuno vuole da noi una soluzione: non l’han trovata loro nel giro di mesi, non riusciamo a darla noi, nel giro di due minuti! Tante persone hanno soltanto bisogno di poter raccontare, di poter dire a qualcuno. Avere di fronte qualcuno che ascolta. Che ascolta davvero, però, con un po’ di attenzione.
FOTO CREDIT: Le foto sono gentilmente offerte da Sabrina Ferrero e sono di Sua esclusiva proprietà. Non ne è consentita la riproduzione libera senza il di Lei consenso espresso.