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Il nostro viaggio nella geopolitica ci conduce nei Paesi africani, con un focus sulle loro relazioni attuali.
L’articolo precedente si è incentrato sulle dinamiche di security e su come la richiesta sfrenata di armamenti da parte delle autorità locali africane sia il grimaldello per schiudere il forziere del tesoro del Continente.
Attraverso il mercato delle armi, quelli che abbiamo chiamato “i nuovi imperi” tessono reti diplomatiche, economiche e culturali con i Paesi delle varie regioni dell’Africa, presentandosi spesso come benefattori, condannando le pratiche disumane del colonialismo europeo di cui si presentano addirittura come vittime.
Iniziamo un viaggio virtuale fra i territori sconfinati del continente, che potrebbe aiutare ad avere un quadro più chiaro della situazione attuale. Il Nord-Africa è composto da Paesi molto diversi e spesso in conflitto fra loro, sconvolti dalla stagione delle primavere arabe del 2011.
Il Marocco
Il Marocco è la frontiera più occidentale del Mediterraneo e può essere considerato, fra i Paesi africani, quello con l’assetto istituzionale più radicato e con l’identità storica meglio consolidata, nonostante la convivenza di due gruppi etnici, i berberi e gli arabi. Sino alla pandemia aveva fatto registrare notevoli tassi di crescita economica, trainata soprattutto dal settore agricolo e dalle attività di estrazione delle miniere di fosfati. Recentemente, la monarchia marocchina ha potenziato le ricerche e le esplorazioni off shore al largo dell’Atlantico, in un progetto che coinvolge la Qatar Petroleum.
A rallentare la ripresa economica post-pandemica, si è aggiunta la catastrofe naturale del terremoto di inizio settembre che, spazzate via le macerie, lascerà costi per la ricostruzione, perdita di infrastrutture fondamentali e malcontento nell’opinione pubblica. Il Re marocchino, di fronte al dramma provocato dal terremoto, non si è sottratto alla partita della geopolitica, accettando aiuti solo da quattro Paesi.
I Paesi “amici” del Marocco
La Spagna, a cui il Marocco è tradizionalmente legato a doppio filo per ragioni storiche, sebbene i rapporti fra i due Stati dirimpettai siano spesso altalenanti e contraddittori, per una molteplicità di motivi, che vanno dall’annosa questione del Sahara Occidentale, alla disputa per i territori di Ceuta e Melilla, sino alla competizione per le zone economiche esclusive destinate alla pesca.
La Gran Bretagna che conserva la base militare di Gibilterra, dove spesso si svolgono esercitazioni congiunti fra le due marine.
Gli Emirati Arabi e il Qatar, seppur in competizione fra loro, sono entrambi legati al Marocco per interessi commerciali e strategici, oltre alla comune appartenenza alla Lega Araba.
Il rapporto con la Francia
I rapporti con la Francia sono tesi. Il Marocco ha ritirato il suo ambasciatore da Parigi e l’episodio di due anni fa ,che scoperchiò le attività di spionaggio dei servizi marocchini nei confronti del Presidente Macron attraverso il software Pegasus, certamente non ha aiutato. Da Parigi, nel 2022 sono stati dimezzati i visti di lavoro concessi ai cittadini marocchini.
Il popolo Saharawi
E pesa, anche in questo caso, la questione del Sahara Occidentale, su cui la Francia non riconosce la sovranità marocchina, anche per non fare un dispetto all’Algeria che invece sostiene economicamente e militarmente il popolo Sharawi – che appunto vive nell’area contesa e di cui ospita il Governo in esilio nel campo profughi di Tindouf. La disputa sul Sahara Occidentale portò il Marocco ad abbandonare per protesta il proprio seggio all’interno dell’Unione Africana (l’organismo che d’ora in poi sarà membro al G20), quando nel 1984 vi fu ammessa proprio la Repubblica Democratica Araba Sahrawi. Soltanto nel 2017, dopo trentatré anni, le autorità marocchine hanno deciso di tornare a farne parte, sebbene la vicenda non sia ancora risolta e in quell’area continuino atti di violenza e soprusi di cui non si sente mai parlare.
In controtendenza sulla vertenza, sono gli Stati Uniti, che nell’ambito degli ormai noti Patti di Abramo del 2020, avevano ammesso i diritti del Marocco sul Sahara Occidentale, ottenendo in cambio dal Paese arabo il riconoscimento all’esistenza e la normalizzazione dei rapporti con Israele. Una promessa che ha avuto il suo vero banco di prova, l’11 ottobre 2023, quando il Marocco che presiedeva la riunione straordinaria del Consiglio della Lega Araba per gli attentati terroristici di Hamas nelle aree meridionali israeliane, ha fatto deliberare una risoluzione che condannava gli atti di violenza contro i civili e chiedeva la liberazione di tutti gli ostaggi.
Un testo, quello della risoluzione della Lega Araba, che potrebbe sembrare non abbastanza esplicito e piuttosto equidistante, ma che va pur sempre inserito nel suo contesto geografico e culturale, per essere valutato.
Soprattutto alla luce del fatto che, nonostante le condanne per i fatti del 7 ottobre fossero piuttosto generiche, gli altri due Paesi del Nordafrica Occidentale, Tunisia ed Algeria, non le hanno comunque votate. Una mossa che svela tutte le contraddizioni e le difficoltà della geopolitica e crea imbarazzi in tutta Europa, soprattutto in Italia.
L’Algeria
L’Algeria è il Paese più grande per estensione dell’intero continente africano.
Dopo l’invasione di Putin in Ucraina, è diventata il principale esportatore di gas nel nostro Paese, determinando introiti che, dai 5,5 miliardi di euro del 2021, sono passati ad oltre 18 nel 2023. E parte di questi soldi, il Governo algerino potrebbe paradossalmente investirli per acquisire asset e partecipazioni in società proprio italiane, confidando nel fatto che da Roma ci saranno un po’ di indugi a far valere le clausole del golden power nei loro confronti, per via della nostra dipendenza dalle loro forniture energetiche.
A questo si aggiunge l’imbarazzo, che avevamo già approfondito esattamente un anno fa, per la proclamazione di una Zona Economica Esclusiva da parte dell’Algeria, che arriva sino alle coste della Sardegna e che ancora non è stata risolta.
Parallelamente, l’Algeria sta per diventare il primo importatore al mondo di armi russe, consolidando una collaborazione con le milizie ufficiali del Cremlino, con cui già svolge esercitazioni e operazioni congiunte, a ridosso del Marocco.
La situazione economica dell’Algeria risente profondamente degli effetti lasciati dal Covid19 che ha comportato uno stallo politico continuo, con rivolte popolari ormai cronicizzate.
Per far fronte alle difficoltà finanziarie, il Presidente algerino questa estate si è recato in visita ufficiale a Pechino, da cui ha ottenuto un pacchetto di investimenti di quasi quaranta miliardi di dollari, distribuito in vari settori, oltre alla sottoscrizione di diciannove documenti, tra cui accordi di cooperazione e memorandum d’intesa.
L’Algeria nel 2014 era stata il primo Paese arabo a stipulare un accordo di partenariato strategico globale con la Cina. Un legame che ha reso Xi Jinping il finanziatore di infrastrutture cruciali per il paese nordafricano come l’autostrada Est-Ovest, la Moschea di Algeri e il centro olimpico di Orano.
La Tunisia
Incastonata fra il Marocco e l’Algeria, c’è la Tunisia, del Presidente Saied.
Lì da dove, nel dicembre 2010 ebbero inizio le Primavere Arabe e in cui l’instabilità politica si è sovrapposta alla fragilità economica, come abbondantemente avevamo spiegato, poco tempo fa. Tunisia, aumentano i migranti con l’Italia che diventa il primo partner commerciale – La Redazione
Il piccolo Stato nordafricano è stato spesso chiamato in causa negli ultimi mesi, soprattutto per il fantomatico accordo sul contenimento dei flussi migratori, siglato con l’Unione Europea, rappresentata negli incontri ufficiali dal Presidente italiano Giorgia Meloni, dall’omologo/dimissionario olandese Mark Rutte e da Ursula Von der Leyen.
Questi accordi erano stati presentati come il preludio di una nuova stagione di cooperazione economica fra l’Europa e l’altra sponda del Mediterraneo, ma si sono ben presto rivelati un fallimento, diventando un caso diplomatico e alimentando non pochi imbarazzi nelle cancellerie europee, sino alla restituzione di 60 milioni di euro da parte del Governo tunisino a Bruxelles con tanto di «La Tunisia non accetta nulla che assomigli alla carità».
Saied è in contrasto anche con il Fondo Monetario Internazionale da cui attende un prestito da oltre due miliardi di dollari che potrebbe salvarlo dal default, condizionato al varo di una serie di riforme che però minerebbero lo status quo su cui fonda il proprio potere e il proprio consenso. Per questo motivo, la Tunisia ha guardato altrove, alla vicina Algeria che le ha aperto le porte diplomatiche con la Russia, con cui il 25 settembre 2023 ha siglato un accordo commerciale che prevede l’importazione di grano russo in cambio di flussi turistici provenienti da Mosca. Nel pieno dell’estate, poi, la Ministra delle Finanze tunisina ha firmato una doppia convenzione con l’Arabia Saudita per un finanziamento da mezzo miliardo di dollari. E poi ci sono i legami solidi con la Cina, al punto che pochi giorni fa è stato deciso di esentare i cittadini cinesi dal visto per entrare nel territorio.
La Libia
Il grande bubbone del Nordafrica è la Libia. Dopo l’estromissione di Gheddafi nel 2011 venne divisa in due, finendo l’influenza di Russia (in Cirenaica) e Turchia (in Tripolitania) che a turno hanno potuto ricattare l’Unione Europea sui flussi migratori, mentre sotto i loro occhi si ingigantiva la terra di nessuno, nelle mani di estremisti islamici, bande paramilitari e tribù.
Una situazione che si continua a trascinare come testimoniano gli scontri cruenti di questa estate fra i commandi di Raada e quelli agli ordini di Hamza. Libia, si scatena la guerra tra bande – La Redazione
La Turchia ha supportato a lungo la resistenza di Al Sarraj contro il generale Haftar, fino al cessate il fuoco e la decisione di stabilire il confine fra le due aree lungo la linea di Sirte. L’influenza di Erdogan si è fatta sentire anche con l’ascesa del successore di Al Sarraj, l’attuale premier Dabaiba, con cui ha siglato gli accordi per le Zone Economiche Esclusive turche sul Mediterraneo Orientale.
La catastrofe naturale che ad inizio di settembre ha devastato l’altra sponda della Libia, ha fatto emergere ancora di più la disfunzione di potere radicatasi in questi anni, dove la negligenza e la corruzione sono ormai dei tratti endemici. La gara per la ricostruzione, qui, potrebbe far entrare in gioco i Paesi del Golfo che già hanno manifestato interesse a mettere a disposizione i propri petrodollari, da investire nella costruzione di alleanze regionali e internazionali.
L’Egitto
Le monarchie del Golfo hanno rilevanza diplomatica, finanziaria e culturale soprattutto in Egitto, il Paese che chiude l’arco del Nordafrica, collegandosi attraverso il Canale di Suez e la penisola del Sinai al Medio-Oriente, teatro in questi giorni di tensioni, che potrebbero portare ad una escalation dalle conseguenze imprevedibili.
Per via della sua posizione geografica e della sua sovranità sul valico di Rafah, unica via d’uscita dalla prigione a cielo aperto della Striscia di Gaza, l’Egitto è uno degli interlocutori più attivi nei negoziati e nelle discussioni fra Occidente e mondo arabo.
Tuttavia, oltre alla crisi lungo il proprio confine settentrionale, l’Egitto subisce forti pressioni da sud, dove negli ultimi mesi la rivalità fra i Signori della Guerra del Sudan ha generato una spirale di violenza e morte, che ha portato la popolazione civile a fuggire.
Si stima che l’Egitto abbia già accolto oltre duecentomila profughi sudanesi.
La situazione in Sudan sta già deteriorando i rapporti con gli Emirati Arabi e la Libia di Haftar, che in quell’area sostengono l’organizzazione paramilitare Rapid Support Forces del generale Dagalo, contrariamente alla posizione egiziana favorevole al suo rivale, Burhan. Il sostegno al Sudan è legato anche alla disputa in corso con l’Etiopia per la Diga del Gran Rinascimento, che per le autorità egiziane minaccia l’approvvigionamento di acqua.
Dal 2024 l’Egitto diverrà membro del blocco Brics, mosso dall’ambizione nella de-dollarizzazione degli scambi commerciali e dalla volontà di ottenere finanziamenti al di fuori dell’orbita occidentale, per risollevare la propria situazione economica.
Una situazione economica disastrosa, senza precedenti, quelle che sta attraversando l’Egitto, fra inflazione alle stelle e indebitamento quasi insostenibile, nonostante gli aiuti ricevuti del Fondo Monetario Internazionale. Attualmente, almeno il 70% del mercato interno è rivolto al settore edilizio, dove le imprese sono di proprietà delle Forze Armate. Un sistema che rafforza il sostegno al Presidente Al-Sisi all’interno dell’élite di potere, ma impedisce la crescita del settore privato e non aumenta le esportazioni nazionali. Una situazione talmente nota e incrostata che l’Arabia Saudita si è proposta di dare gli aiuti economici necessari, chiedendo però di togliere dalle mani dei generali i settori dell’economia che essi controllano e aprendola al libero mercato.
Sin dai tempi del colpo di Stato dei Giovai Ufficiali del 1952, il controllo del potere della casta militare in Egitto è una costante. In sessant’anni l’apparato militare ha plasmato a propria immagine la società egiziana nelle sue strutture portanti, dalle istituzioni, alle attività produttive, sino alla pubblica amministrazione. Per preservare il suo controllo sul Paese, Al Sisi si affida alla polizia, cui sono consentiti ampi margini di illegalità e all’utilizzo di una propaganda del sospetto che incita i cittadini a segnalare come potenziali spie gli stranieri che si interessano troppo da vicino alle dinamiche interne del Paese. È questo il caso, ad esempio, del video girato di nascosto dal sindacalista dei venditori ambulanti mentre parla con Giulio Regeni.
Una vicenda ancora irrisolta e di cui non si potrebbe parlare in mezzo rigo. Ma in Egitto, le sparizioni come quella di Giulio sono all’ordine del giorno, di queste alcune finiscono in tragedia, altre in detenzioni sommarie, come nel caso di Patrik Zaki. Mentre compie atti del genere, Al-Sisi viene ricevuto sul tappeto rosso dalla cancellerie europee e occidentali e addirittura riceve la Legion d’Onore dalla Francia, con tanto di cerimonia solenne e cena di gala all’Eliseo. Questa è la faccia della complessità e del dramma con cui le nostre democrazie devono convivere.