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È crisi delle uova negli USA, a causa dell’aviaria. E intanto fallisce il tentativo di avere delle uova dalla Danimarca, proprio mentre è oggetto delle mire espansionistiche della Casa Bianca, in Groenlandia.
Uno degli alimenti più importanti della catena alimentare per i suoi principi nutrizionali e per la sua ampia versatilità nelle preparazioni è diventato inaccessibile nel Paese a stelle e strisce. Dallo scorso autunno, la quotazione di un singolo uovo è aumentata anche di cinque volte, con un massimo storico di otto dollari alla confezione, registrato a fine febbraio. Le principali catene della grande distribuzione hanno pensato addirittura di stabilire un limite al numero di confezioni di uova che ciascun cliente può portare alla cassa…e poi a casa.
Le ripercussioni sono state imminenti ed evidenti, con la crisi che ha impattato settori come la pasticceria, costretta a ripiegare su soluzioni alternative e più economiche, fra cui l’amido di mais e l’acquafaba, derivante dai legumi cotti. Molti ristoranti hanno iniziato ad aggiungere supplementi di prezzi sui piatti che includono uova nella preparazione. E, in molte famiglie americane, si sta iniziando a diffondere persino la tendenza di allevare galline nel proprio giardino, con tanto di approvazione della Segretaria all’Agricoltura Brook Rollins che l’ha definita “una cosa tenera”.
La causa principale di questa crisi è l’epidemia di aviaria che negli ultimi due anni ha provocato la morte di 160 milioni fra galline ovaiole, polli e tacchini. Soltanto nell’ultimo mese del 2024, sono stati abbattuti più di ventri-tre milioni di esemplari.
Per evitare la diffusione del virus, ogniqualvolta un caso di infezione viene riscontrato in un allevamento, la procedura prevede l’abbattimento di interi gruppi di animali. Ciò innesca una carenza di bestiame e un aumento inevitabile dei prezzi.
L’influenza aviaria è una infezione virale principalmente riscontrabile negli uccelli e in particolare in quelli selvatici, che diventano veicolo di trasmissione agli animali da allevamento. Si tratta di un virus in grado di mutare facilmente e di effettuare salti di specie. Nell’ultimo anno, negli Stati Uniti sono stati certificati più di 60 episodi di esseri umani contagiati dall’infezione, con un caso di decesso verificatosi a gennaio 2025, nello stato della Louisiana.
Un vero e proprio allarme che ha fatto alzare la guardia in tutto il Paese.Tuttavia, con la Pasqua che si avvicina e con una ressa di consumatori e di aziende disturbate dall’aumento dei prezzi delle uova, l’attenzione è tutta lì. Una fetta importante della base elettorale del Presidente Trump ha in cima alla lista delle priorità ragioni pratiche ed economiche, più che ideali e proprio l’innalzamento dei costi delle uova era stato uno dei temi forti della campagna elettorale, con le accuse a Biden di esserne il principale responsabile.
Che la bomba sia scoppiata in mano a Trump, o forse è il caso di dire, che l’uovo si sia rotto in mano a Trump, suona un po’ come una beffa.
Se la diffusione dell’aviaria e il conseguente abbattimento di numerosi volatili sia l’unica causa di questa crisi, inoltre, è tutto dimostrare e non tutti sono concordi.
C’è chi come il gruppo Farmaction sostiene che i prezzi delle uova siano saliti molto più del dovuto in proporzione alla quantità di galline eliminate, vedendoci piuttosto una occasione ghiotta per la speculazione della grande distribuzione.
Anche nel Congresso, adesso, si fa largo la voce di chi chiede una indagine dell’Antitrust Federale per rilevare eventuali comportamenti anti-competitivi.
Per alleviare il problema di approvvigionamento, gli Usa si sono guardati intorno e hanno iniziato ad importare uova da Turchia e Corea del Sud, dopo i tentativi falliti con Svezia e Danimarca. Possiamo soltanto immaginare la reazione danese, oggetto delle mire espansionistiche della Casa Bianca, in Groenlandia.
Ci sono stati contatti anche con l’Italia, come ha fatto sapere il Presidente nazionale del gruppo Assoavi, raggiunto direttamente dall’ambasciatore statunitense.
Al momento un nulla di fatto, in quanto anche la produzione italiana è al limite ed è destinata quasi interamente al consumo nazionale. Tuttavia, a fronte del dato sul consumo medio pro-capite di uova secondo cui quello dei cittadini americani è di circa 272 unità all’anno contro le circa 210 degli europei, la “diplomazia delle uova” potrà presto diventare un strumento politico, in una fase di annunciata guerra commerciale con l’Unione Europea.