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19 Ottobre 2025Madagascar, la rivolta dei giovani africani
Immagine AI
Il leone, la zebra, la giraffa, l’ippopotamo e…soprattutto i pinguini sono i personaggi di un cartone animato di successo che ha trasformato il Madagascar in una metafora cinematografica di libertà, esotismo e avventura spensierata. Una rappresentazione che stride, oggi, con la realtà di una nazione precipitata, ancora una volta, in un ciclo di instabilità che mescola la ribellione digitale della sua Generazione Z con il monolite eterno e ambiguo del potere militare.
Madagascar, la rivolta dei giovani
La grande isola dell’Oceano Indiano, separata dal continente africano da un braccio di mare di 400 chilometri, è diventata il teatro del primo, vero tentativo di rovesciamento guidato dai giovani africani, una dinamica che ha spinto il Presidente Andry Rajoelina alla fuga, consegnando il potere a una amministrazione in uniforme. La libertà, nel Grande Sud del mondo, non è mai un racconto per bambini. La stretta attualità ci consegna un Paese sospeso tra la speranza di un futuro diverso, promesso dalla piazza giovane e digitale e il rischio di un nuovo, lungo ciclo di instabilità autoritaria. Le radici della crisi affondano nel terreno fertile di una povertà endemica che affligge quasi l’ottanta percento della popolazione.
Il Madagascar è, paradossalmente, un gigante economico per le sue esportazioni strategiche – dalla vaniglia, al nichel, al cobalto – ma è anche una terra in cui le interruzioni di acqua ed elettricità sono la norma e la corruzione è una piaga sistemica. Dopo la contestata rielezione di Rajoelina nel novembre 2023, la pressione sociale ha raggiunto il punto di rottura poche settimane fa.
“Gen Z Madagascar”, chi sono i giovani del movimento
La scintilla è stata accesa dalla “Gen Z Madagascar”, un movimento di giovani stanchi di un sistema che percepiscono come irrimediabilmente guasto. Utilizzando i social media per aggirare la censura e la propaganda di Stato, hanno creato una comunità di protesta orizzontale, priva di leader riconosciuti e, per questo, difficile da decapitare.
Le strade di Antananarivo, la capitale, si sono trasformate in un campo di battaglia. Inizialmente, il governo ha risposto con la repressione brutale, usando gas lacrimogeni e proiettili di gomma, che hanno causato almeno 22 vittime accertate dalle Nazioni Unite. Tuttavia, la violenza non ha fatto che aumentare la rabbia popolare, innescando l’evento che ha cambiato il corso degli eventi. Il comune denominatore con altre proteste giovanili africane (dal Kenya al Marocco) è l’incuria delle istituzioni rovesciate, la corruzione dilagante e la volontà di una nuova generazione di non subire più senza reagire.
Il corpo speciale CAPSAT si schiera con i manifestanti
L’elemento di svolta è arrivato quando l’élite militare, in particolare il corpo speciale CAPSAT (Corpo dell’Esercito del Personale e dei Servizi Amministrativi e Tecnici), ha deciso di schierarsi con i manifestanti. Il colonnello Randrianirina, comandante del Corpo, pur negando inizialmente che si trattasse di un colpo di Stato nel senso classico del termine ha di fatto sigillato il destino del presidente. L’unione tra le uniformi e la piazza ha creato un fronte inattaccabile.
Le unità del CAPSAT – che sedici anni fa avevano contribuito all’ascesa al potere dello stesso Rajoelina – lo hanno ora ripudiato con le medesime accuse di esecuzione di ordini illegali e repressione violenta del popolo. Le richieste dei militari, in linea con le istanze della piazza, includevano le dimissioni di Rajoelina, lo scioglimento del Senato e della Commissione Elettorale e l’arresto dei responsabili delle uccisioni di manifestanti. Con il controllo della capitale compromesso e l’esercito unito alla folla, Rajoelina ha lasciato il Paese, secondo alcune fonti, a bordo di un jet militare francese.
Il nuovo governo militare
La nuova amministrazione militare ha immediatamente annunciato la dissoluzione di tutte le istituzioni di governo ad eccezione dell’Assemblea Nazionale, l’abolizione della Costituzione e l’apertura di una transizione di due anni verso un nuovo assetto civile, da ratificare tramite referendum. L’esercito, che si presenta come esecutore della volontà popolare, ha di fatto incanalato la protesta in una soluzione dall’alto, ponendo il Paese in una fase post-golpe. Il paradosso del Madagascar risiede nel fatto che la Gen Z, pur avendo rovesciato un presidente impopolare, ha involontariamente aperto le porte a un governo militare, scambiando un male noto con un futuro ancora più incerto.
La vittoria della piazza si è trasformata, in pochi giorni, in una “rivolta scippata” o, quantomeno, incanalata in una direzione non democratica dall’apparato statale più forte: le forze armate. Il dibattito è aperto: si tratta di una genuina reazione dell’esercito all’appello del popolo, una azione di salvataggio dello Stato dal caos, o semplicemente un nuovo ciclo di instabilità in cui l’élite militare sostituisce l’élite civile, mantenendo intatti i meccanismi di corruzione e di gestione predatoria delle risorse?
La storia malgascia, con i suoi ricorrenti colpi di stato, suggerisce cautela. Il fatto che l’amministrazione militare abbia già disposto l’abolizione della Costituzione e pianificato una lunga transizione biennale solleva forti preoccupazioni.
Affinché questa insurrezione non sia solo la fine di un regime, ma l’inizio di una nuova grammatica politica africana, la Gen Z dovrà dimostrare di saper mantenere la pressione tra la rabbia della piazza e la proposta di una visione di lungo termine, sfidando l’autorità appena insediata. Il rischio è che, come già accaduto in altre parti del Sahel, il passaggio di potere ai militari, benché inizialmente sostenuto da un forte consenso popolare, porti a un restringimento delle libertà politiche e a un ennesimo tradimento delle speranze popolari. Fino a quando non verranno affrontate riforme strutturali profonde per sradicare la povertà e la corruzione, il Madagascar sembra destinato a rimanere intrappolato in questo circolo vizioso di instabilità.
La vicenda del Madagascar non è isolata, ma si inserisce in una più ampia ondata di proteste giovanili che utilizzano la rete per denunciare l’incuria istituzionale e la corruzione. Questo fenomeno globale di giovani che sfidano regimi opachi per mezzo del digitale ha avuto eco anche in altre latitudini: analogamente a quanto avvenuto in Madagascar, il Nepal ha recentemente vissuto la caduta del suo Primo Ministro a seguito di violente manifestazioni contro la corruzione e il tentativo di censurare i social media, anch’esse sedate con l’intervento dell’esercito e lo scioglimento del Parlamento.
La “Grande Isola” resta un monito: la generazione più giovane del mondo, quella che vive nell’epoca della connessione totale, ha trovato la sua voce, ma il potere, in molti angoli del pianeta, continua a essere tenuto saldamente in mano da chi ha un’arma.






