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Fa tutt’ora riferimento a Matteo Messina Denaro il mandamento di Castelvetrano. È questa la novità, scomodando pure L’anno che verrà (e il buon auspicio, chissà).
Un paradosso impossibile da accettare, che il re dei latitanti possa presidiare una bella fetta di orbe terracqueo, quindi la regia del “cupolone”. Il burattinaio è ricercato da 28 anni, di lui conosciamo cosa ama – puzzle, dolci alla ricotta e videogiochi – e come si chiama, u siccu, Diabolik, Alessio (la firma dei pizzini scambiati con Svetonio alias l’ex sindaco Vaccarino). Tra questi appellativi sembrerebbe mancare solo il “fantasma formaggino”, vista la capacità di comandare i propri soldatini, nonostante il dono dell’occulto.
I vertici della mafia scelti da Matteo Messina Denaro
“Matteo Messina Denaro costituisce ancora la figura criminale più carismatica della mafia trapanese. Capo mandamento di Castelvetrano che, nonostante la latitanza, rimane il principale punto di riferimento per decidere le questioni di maggior interesse dell’organizzazione, per dirimere le controversie e per nominare i vertici delle articolazioni mafiose”1. Questo è ciò che emerge dall’attività svolta negli ultimi mesi dalla Direzione Investigativa Antimafia. Lo conferma il Procuratore Antimafia di Palermo, Francesco Lo Voi: “In provincia di Trapani, le indagini coordinate dalla DDA dal 1 luglio 2019 al 30 giugno 2020 hanno registrato ancora il potere mafioso saldamente nelle mani della famiglia Messina Denaro”. Lo stesso accade nella provincia agrigentina, dice la DIA: anche la recente operazione “Xydy” de 2 febbraio 2021, vede tra i destinatari del relativo provvedimento di fermo Matto Messina Denaro “che avrebbe mantenuto attive le comunicazioni con i capi delle famiglie agrigentine e un ruolo di rilievo per le decisioni strategiche”. “Il boss castelvetranese sarebbe quindi a tutt’oggi in grado di assumere decisioni delicatissime per gli equilibri di potere in Cosa nostra, nonostante la sua eccezionale capacità di eclissamento e invisibilità”.
Perquisizioni nel triangolo Palermo-Trapani-Agrigento
Anche il triangolo più potente della mafia si conferma sempre lo stesso: Palermo, Trapani e Agrigento. Solo lo scorso mese di ottobre nei controlli, disposti dalla Dda di Palermo, sono stati impegnati circa 150 agenti delle squadre mobili di Palermo, Trapani e Agrigento2. Le perquisizioni sono scattate nei confronti di una serie di soggetti sospettati di essere fiancheggiatori di Messina Denaro. Le operazioni si sono svolte a Castelvetrano, Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Partanna, Mazara del Vallo, Santa Margherita Belice e Roccamena (Palermo). In particolare, a Roccamena, nel Palermitano, ai confini tra San Cipirello, Corleone e Castelvetrano. Qui, ora tutto sembra tranquillo, regna il silenzio, eppure non mancano le evidenti tracce di un’importante storia di infiltrazioni della criminalità organizzata, vedi la diga Garcia, ribattezzata la foiba della mafia. In tal senso, restano negli annali anche le dichiarazioni di Cesare Terranova a Joe Marrazzo3. Il Comune è stato sciolto un paio di volte per infiltrazioni mafiose. Poi, proprio pochi giorni sono state effettuate ancora una volta le perquisizioni in abitazioni di persone da sempre vicine a Matteo Messina Denaro.
I Giambalvo, da Luciano Liggio e Totò Riina a Matteo Messina Denaro, cinquant’anni di florida attività
In particolare, i Giambalvo, perquisiti poche settimane fa, sono una famiglia che figurava già negli indimenticabili articoli scritti di Mario Francese, prima che fosse assassinato4. Infatti, da Totò Riina e la villa di Tonnarella ai giri in barca con Matteo Messina Denaro, i Giambalvo da ormai cinquant’anni accompagnano fedelmente il lavoro dei corleonesi, prima, e poi di Matteo Messina Denaro.
Giuseppe e Pietro Giambalvo ricevono entrambi visita da parte della Mobile poche settimane fa, eppure il loro lavoro si svolge dagli anni Settanta.
Era il 17 ottobre del ‘76 quando Francese scriveva sul Giornale di Sicilia di Giuseppe Giambalvo:
“Leoluca Bagarella, il fratello minore della maestrina Antonietta, sposatasi nel ’74 segretamente con Totò Riina, luogotenente latitante di Luciano Liggio, non si è presentato alla prima sezione del Tribunale, dalla quale è stato giudicato in appello, insieme a Bartolomeo Cascio e a Giuseppe Giambalvo, entrambi di Roccamena, per detenzione abusiva di armi e per contravvenzione alla sorveglianza speciale. Ha saputo così dai suoi legali che i giudici gli hanno confermato la condanna a 20 mesi di reclusione, senza alcun beneficio, neanche quello della sospensione. La pena (pure confermata) è stata invece sospesa a Cascio e a Giambalvo che, in primo grado, dal pretore di Corleone erano stati condannati rispettivamente a 12 e a 14 mesi. Entrambi sono ritenuti i “guardaspalle” di Bagarella”.
Giuseppe Giambalvo detto Pino, a tutt’oggi residente a Roccamena, è stato anche arrestato nell’89 su mandato del giudice Falcone, in un’operazione di infiltrazione economica di Cosa Nostra in appalti di strade, dighe e opere pubbliche. Questa in estrema sintesi il suo pedigree, fino all’ultima perquisizione di ottobre 2021.
Poi, c’è Pietro Giambalvo, il fratello maggiore, il veterano, con mezzo secolo di attività. Con un curriculum ben farcito, sempre aggiornato fino all’inizio della latitanza di Matteo Messina Denaro. “Nel 1975 mi fu presentato uno dei fratelli Giambalvo che è un mafioso che risiedeva a Santa Ninfa, si occupava di Riina in contrada San Filippo” (Pietro Bono). “Le riunioni a Castelvetrano per decidere l’attacco allo Stato – Pietro Giambalvo, uomo d’onore di Roccamena e residente a Santa Ninfa, parteciperà a diverse riunioni importanti con Riina e con Matteo Messina Denaro e, soprattutto, Giambalvo è indicato come colui che ha ospitato Riina e gestito i suoi beni in particolare ha partecipato alla famosa riunione di Castelvetrano, dove si iniziò a delineare la strategia di attacco allo Stato e la morte di Giovanni Falcone, nel settembre-ottobre 1991” (tp24). Solo per cominciare. E anche lui riceve di nuovo visita il mese scorso.
Il risultato di questi giorni – dopo 45 anni dagli articoli di Mario Francese – è che tra i venti indagati, dopo le perquisizioni che si sono concentrate nella valle del Belice, su ordine della DIA, figurano ancora loro, camaleontici sodali: Giuseppe Giambalvo, classe 1945 e Pietro Giambalvo, classe 1938.
1”Va tuttavia evidenziato che, benché “u siccu” continui a beneficiare della fedeltà di molti sodali, non mancano segnali d’insofferenza. Alcuni affiliati sarebbero infatti insoddisfatti di una gestione di comando troppo impegnata a curare la sempre più problematica latitanza del boss, anche in ragione della costante azione investigativa in larga parte volta a colpire la rete di protezione. Numerosi infatti sono gli arresti dei fiancheggiatori che si sono susseguiti alla guida dell’organizzazione trapanese (che hanno colpito anche molti congiunti del latitante – alcuni cognati, uno dei quali recentemente scarcerato e un altro deceduto in carcere. Il fratello, anch’egli recentemente tornato in libertà. alcuni cugini, la sorella e alcuni nipoti)”.
2supportati dagli uomini del Servizio centrale operativo e dei reparti prevenzione crimine di Sicilia e Calabria.