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6 Settembre 2021Mauro De Mauro, il ricordo del cronista a cento anni dalla nascita
di Mattia Lasio
Per quanto fugace, il tempo non cancella volti e ricordi resi eterni dall’amore. Come quello che lega Franca De Mauro al padre Mauro, di cui oggi ricorrono i cento anni dalla nascita. Mauro De Mauro fu uno dei cronisti più bravi del nostro Paese, uno dei primi a combattere con la sua macchina da scrivere la Mafia e a chiamarla con il suo nome senza timori. Firma di punta de L’Ora, quotidiano di Palermo che con le sue inchieste ha fatto tremare Cosa Nostra, venne fatto sparire misteriosamente in una calda sera del 16 settembre 1970 in viale delle Magnolie dove risiedeva e il suo corpo non fu mai ritrovato. Un commando mafioso lo prese a pochi metri dalla sua casa e lo fece risalire sulla sua macchina, sotto gli occhi di Franca che, attonita, fu l’ultima a vederlo.
Sulla sua sparizione si è detto tanto, scritto altrettanto in questi anni e le ipotesi elaborate sono state molteplici. Le più accreditate sono due: la pista Mattei che fa riferimento a un presunto scoop di De Mauro riguardo la morte del presidente dell’Eni, mentre la seconda riguarda il fatto che il cronista de L’Ora possa essere venuto a sapere dei preparativi di un golpe da parte del comandante Borghese. De Mauro, accompagnato dalla sua immancabile ironia e acume, sosteneva di avere tra le mani uno scoop di gran caratura che gli avrebbe garantito il Pulitzer. Purtroppo, però, quello scoop non è mai uscito a causa della turpe mano mafiosa che sta dietro la sua scomparsa.
Il ricordo di Franca
A distanza di tanto tempo, nessuna verità ufficiale. L’affaire De Mauro è l’ennesimo caso irrisolto della storia del Bel Paese. Ma il suo impegno, la sua lealtà e la sua predisposizione ad ascoltare i più giovani continua a vivere nelle parole di chi ha fatto la sua conoscenza e con lui ha condiviso momenti all’insegna dell’allegria e della spensieratezza. «Mio padre amava tantissimo il suo lavoro, di cui era conoscitore e studioso continuo», racconta Franca con gentilezza. «Ha sempre reso partecipi me, mia sorella Junia e nostra madre Elda della sua professione. Ha sempre parlato del giornalismo con grande passione confidandoci ciò che più amava del suo mestiere come quello che lo addolorava». La mafia, scrisse De Mauro in suo articolo pubblicato su L’Ora l’11 dicembre 1969 relativo alla strage di viale Lazio, nei suoi processi non conosce insufficienza di prove. Una frase breve ed efficace di chi conosce nel dettaglio la malvagità di un sistema criminale che nulla cura e tutto deturpa. Una frase da cui traspare il giornalismo dal volto umano di cui si fece portavoce De Mauro.
«Papà aveva un grande trasporto umano verso le notizie di cui si trovava a scrivere, non è mai rimasto indifferente», prosegue Franca. «Non ha mai ragionato in maniera cinica. Per lui l’aspetto umano era fondamentale». De Mauro era uomo colto che amava il mare, legato profondamente alla sua famiglia e alle amicizie genuine che coltivava fuori dal lavoro. «La grande passione di mio padre era il mare: un momento intimo e di riflessione. Andavamo spesso a Capo Gallo, era una delle sue località preferite. Ai suoi colleghi era profondamente legato, specialmente al direttore Vittorio Nisticò e a Giuliana Saladino. Proprio come a suo fratello Tullio (noto linguista), si confrontavano nei rispettivi settori arricchendosi vicendevolmente. Aveva grande rispetto anche per il capo della squadra mobile Boris Giuliano, con cui si era instaurato un rapporto di stima e fiducia reciproca».
Fiducia che De Mauro non ha mai fatto venire meno verso i suoi giovani colleghi per cui era un maestro. «Con i giovani cronisti è sempre stato molto aperto e disponibile, ha sempre amato ascoltare le loro idee e si lasciava coinvolgere dal loro entusiasmo. Certo con me e mia sorella era più severo ma era inevitabile», sorride Franca. A un secolo dalla sua nascita qual è l’insegnamento più grande che ha lasciato Mauro De Mauro? «La scrupolosità verso il proprio lavoro. La sua precisione è stata d’esempio non solo per i giovani cronisti ma anche per me e mia sorella. Nostro padre ci ha sempre detto di controllare le fonti, di qualsiasi tipo, con grandissima attenzione senza mai lasciarsi andare a giudizi affrettati. La serietà e il rigore che ci ha trasmesso sono ancora due linee guida della mia vita di cui faccio tesoro».
Un maestro che ascoltava i giovani
Serietà e rigore che chi ha avuto il privilegio di affiancarlo in redazione ricorda nitidamente. «Mauro era un grande cronista: fluido, sintetico, veloce nello scrivere e al contempo capace di cogliere i dettagli», racconta uno dei suoi allievi Sergio Buonadonna, per anni firma storica de L’Ora. « Lo conobbi nel 1967, avevo 22 anni», prosegue con un filo di nostalgia. «All’epoca lui era capocronista, per me si trattava degli esordi. Mi mise alla prova, sapeva essere un maestro severo ma in grado di premiarti. Era molto aperto alle proposte dei giovani, per nulla chiuso alle novità e fermo nelle sue posizioni. Mi permise nonostante i miei vent’anni e poco più di realizzare una inchiesta in sette puntate intitolata ‘’Mille chitarre per trecento complessi’’, in cui raccontavo il fermento culturale e artistico che si respirava nella Palermo di quegli anni, in prossimità del Sessantotto».
Anni in cui L’Ora, quotidiano che usciva nel pomeriggio, rappresentò per gli aspiranti cronisti una palestra di giornalismo unica e preziosa. «L’Ora era un giornale quasi visionario per l’epoca», sottolinea Buonadonna. «Dava molta importanza al linguaggio e alla sua innovazione, curando nel dettaglio le foto che fecero imbestialire i mafiosi: ricordo quando misero in prima pagina la foto di Luciano Liggio a cui fece seguito la violenta reazione mafiosa che fece esplodere una bomba per fermare le rotative del giornale. Mauro, come tutti noi, rimase profondamente scosso da un atto del genere ma non si fece intimidire proseguendo la sua denuncia delle malefatte criminali». La Mafia spaventava chiunque a Palermo e parlarne veniva considerato un gesto folle. «All’epoca non c’erano i pentiti, mancavano i rapporti di polizia dettagliati, le fonti investigative ed era una impresa poter consultare le carte giudiziarie», dice Buonadonna. «Ma nonostante questo Mauro si dimostrò avanti anni luce: era in grado di fare collegamenti tra personaggi comuni, noti, situazioni e fatti ambigui che poi univa vedendoci chiaro. Ed è proprio questo vederci chiaro che spaventava Cosa Nostra».
Cento anni. Sono trascorsi cento anni dalla nascita di un cronista che con la sua scrittura sapeva mettere alla berlina la brutalità mafiosa senza farsi intimorire, rappresentando un punto di riferimento per chi aveva accanto. «Mauro De Mauro è stato un cronista unico, di gran talento. Essere suo allievo e suo amico mi ha lasciato tanti insegnamenti, primo tra tutti, la passione per un mestiere complesso come quello del giornalista. Mi ha insegnato che per capire realmente ciò che si ha davanti bisogna andare oltre l’apparenza, senza fermarsi mai».