Storie di Stadio / 12 giugno 1983: assassinio al ‘Cibali’
16 Agosto 2024
Kamala Harris alla Convention
24 Agosto 2024
Storie di Stadio / 12 giugno 1983: assassinio al ‘Cibali’
16 Agosto 2024
Kamala Harris alla Convention
24 Agosto 2024

Messina Denaro, Caccia al tesoro del boss

È di 250 milioni circa il valore dei beni finora sotto sequestro tra immobili, denaro, titoli e aziende. Ma chi sono gli eredi di Matteo Messina Denaro?

Dopo circa un anno dalla scomparsa di Matteo Messina Denaro avvenuta il 25 settembre scorso, la Direzione Investigativa Antimafia continua a fare indagini sul tesoro dell’ultimo boss dei corleonesi, arrestato dai reparti speciali dei carabinieri il 16 gennaio 2023, mentre si trovava presso la clinica privata La Maddalena di Palermo.

La Dia indaga sulle ricchezze di Messina Denaro

Finora sono stati posti sotto sequestro immobili, denaro, titoli e aziende per un valore complessivo di circa 250 milioni di euro che, secondo il comandante del Ros Vincenzo Molinese, avrebbero potuto agevolare la malavita nelle infiltrazioni nell’economia sociale. “La manovra di disarticolazione del potere economico e finanziario della mafia continua incessantemente. E’ fondamentale sottrargli le ricchezze, sia per non farla proliferare, sia per restituire queste risorse ai territori. La geografia economia di Matteo Messina Denaro è complessa e la sua ricerca continua”, ha spiegato ancora Molinese.

Aperta una rogatoria per scovare il capitale

Lo aveva intuito anche Giovanni Falcone promotore della legge sulla rogatoria internazionale che consentiva di cooperare con istituzioni giudiziarie di due o più Paesi diversi per il compimento di atti relativi ad un processo, come ad esempio, notificazioni, comunicazioni o assunzioni di mezzi probatori. Lo stesso giudice, assassinato dalla mafia il 23 maggio 1992, ha utilizzato questo istituto perché secondo lui, per arrivare ai capimafia occorreva seguire i loro soldi. E fu così che continuò le sue indagini sui clan Greco, Inzerillo, Bontade e Spatola che portarono ad uno dei più grandi processi mai celebrati nella storia, il maxiprocesso tenutosi nell’aula bunker del tribunale di Palermo tra il 1986 ed il 1992.

Messina Denaro, arrestato dopo 30 anni di latitanza, ha portato con sé segreti e misteri anche dopo la sua morte e, tra questi, anche l’immensa fortuna accumulata. Le attività investigative del Ros hanno portato a un’ipotetica pista in Svizzera, dove il boss sembra aver nascosto parte del suo capitale.

Già dallo scorso settembre la Procura di Palermo aveva riaperto una rogatoria al fine di ricercare i capitali nel territorio cisalpino. A margine di alcune indagini avviate nel 2015-2016 i magistrati della Procura aveva disposto perquisizioni a società finanziarie e istituti di credito presenti nel Canton Ticino, oltre a sentire persone molto vicine a Matteo Messina Denaro, tra queste Domenico Scimoncelli, imprenditore di Partanna che, secondo gli inquirenti, avrebbe intrattenuto rapporti e fatto affari con il boss di Castelvetrano.

La pista del tesoro in Svizzera

Tra gli imprenditori che avrebbero favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro, anche Giovanni Becchina, 85 anni, accusato più volte di essere stato molto vicino al boss e per questo motivo colpito da provvedimenti patrimoniali che hanno portato a sequestri di beni mobili e immobili. Nel 2017, gli inquirenti hanno eseguito un provvedimento di sequestro di terreni, immobili, automezzi e un’ala del castello Bellumvider, antica dimora di Federico II realizzata nel 1239.

La sua passione per le opere d’arte lo avrebbe da sempre legato alla famiglia Messina Denaro, sin dai tempi del padre del capomafia di Castelvetrano, don Ciccio, il quale secondo gli inquirenti, grazie alla sua attività di tombarolo nel sito archeologico di Selinunte, avrebbe fornito parte dei beni a Becchina. “Io sono appassionato di storia antica da Roma a salire, poi mio padre era mercante d’arte e dove sto io c’è Selinunte. Mio padre non è che ci andava a scavare però a Salinunte, a quell’epoca, c’erano mille persone e scavavano tutte. In genere il 100% delle opere le comprava mio padre che poi venivano vendute in Svizzera e dalla Svizzera arrivavano dovunque: in Arabia, negli Emirati e noi vedevamo cose che passavano da mio padre ai musei americani”. Ha respinto così Becchina le accuse di ricettazione e traffico di droga nei suoi confronti.

Ecco come si sono accumulate le sue ricchezze

Accuse che vennero confermate anche dal collaboratore di giustizia Giuseppe Grigoli e dalle intercettazioni, il quale avrebbe illustrato agli investigatori le modalità di riciclaggio di denaro della mafia castelvetranese, arricchendosi in oltre 30 anni e divenendo titolare di una galleria d’arte a Basilea. Secondo le indagini, infatti, la sua ingente ricchezza sarebbe collegata alla latitanza e alle attività del boss Matteo Messina Denaro. Ed è anche grazie al traffico di opere d’arte dello stesso Becchina che Messina Denaro avrebbe accumulato un patrimonio di circa 4 miliardi di euro, oggi confiscato dagli agenti della Dia. Dalla grande distribuzione organizzata, agli immobili, ai villaggi turistici e al settore eolico: sono queste le principali attività ricollegate al boss di Cosa nostra che viveva nel lusso. E lo si intuisce dall’orologio del valore di circa 30 mila euro che, al momento dell’arresto, aveva al polso.

La sua capacità di fare affari con imprenditori locali ha fatto sì che Messina Denaro divenisse l’uomo più potente all’interno di Cosa nostra. Avrebbe coinvolto imprenditori del calibro di Giuseppe Grigoli, proprietario della rete di supermercati Despar, al quale è stato sequestrato un patrimonio di circa 700 milioni di euro composto da dodici società, 220 fabbricati e 133 appezzamenti di terreno. Altro grande sequestro si sarebbe concentrato sul settore dell’eolico: l’ex boss Vito Nicastri, imprenditore del trapanese ed ex elettricista si sarebbe occupato per anni del tesoro del capomafia di Castelvetrano. Anche il settore del turismo è stato nel mirino della Procura. In quest’occasione è finito nei guai l’imprenditore Carmelo Patti accusato di evasione fiscale e di aver avuto rapporti con Messina Denaro. A seguito di queste inchieste che hanno portato al sequestro di diverse proprietà mobiliari e immobiliari e che hanno permesso di quantificare parte delle ricchezze della “primula rossa”, resta ancora un’incognita ovvero riuscire a capire chi saranno gli eredi dell’enorme capitale dopo la morte del boss.

Chi saranno gli eredi?

I parenti più stretti di Matteo Messina Denaro, tra cui anche la sorella, sono reclusi in carcere, altri sotto inchiesta. Alcuni mafiosi potrebbero già essere in lizza per la gestione degli affari economici del capomafia. Tutto parte dal ritrovamento di alcuni pizzini in alcuni covi utilizzati durante gli anni della lunga latitanza che potrebbero aiutare a comprendere qualcosa in più sul suo patrimonio e su chi possa mettere mani sui soldi. Gli unici eredi in famiglia sembrano essere la figlia Lorenza, classe 1996, nata dalla relazione con Francesca Alagna, la sorella Rosalia e la madre

Dopo circa un anno dalla scomparsa di Matteo Messina Denaro avvenuta il 25 settembre scorso, la Direzione Investigativa Antimafia continua a fare indagini sul tesoro dell’ultimo boss dei corleonesi, arrestato dai reparti speciali dei carabinieri il 16 gennaio 2023, mentre si trovava presso la clinica privata La Maddalena di Palermo.

La Dia indaga sulle ricchezze di Messina Denaro

Finora sono stati posti sotto sequestro immobili, denaro, titoli e aziende per un valore complessivo di circa 250 milioni di euro che, secondo il comandante del Ros Vincenzo Molinese, avrebbero potuto agevolare la malavita nelle infiltrazioni nell’economia sociale. “La manovra di disarticolazione del potere economico e finanziario della mafia continua incessantemente. E’ fondamentale sottrargli le ricchezze, sia per non farla proliferare, sia per restituire queste risorse ai territori. La geografia economia di Matteo Messina Denaro è complessa e la sua ricerca continua”, ha spiegato ancora Molinese.

Aperta una rogatoria per scovare il capitale

Lo aveva intuito anche Giovanni Falcone promotore della legge sulla rogatoria internazionale che consentiva di cooperare con istituzioni giudiziarie di due o più Paesi diversi per il compimento di atti relativi ad un processo, come ad esempio, notificazioni, comunicazioni o assunzioni di mezzi probatori. Lo stesso giudice, assassinato dalla mafia il 23 maggio 1992, ha utilizzato questo istituto perché secondo lui, per arrivare ai capimafia occorreva seguire i loro soldi. E fu così che continuò le sue indagini sui clan Greco, Inzerillo, Bontade e Spatola che portarono ad uno dei più grandi processi mai celebrati nella storia, il maxiprocesso tenutosi nell’aula bunker del tribunale di Palermo tra il 1986 ed il 1992.

Messina Denaro, arrestato dopo 30 anni di latitanza, ha portato con sé segreti e misteri anche dopo la sua morte e, tra questi, anche l’immensa fortuna accumulata. Le attività investigative del Ros hanno portato a un’ipotetica pista in Svizzera, dove il boss sembra aver nascosto parte del suo capitale. Già dallo scorso settembre la Procura di Palermo aveva riaperto una rogatoria al fine di ricercare i capitali nel territorio cisalpino. A margine di alcune indagini avviate nel 2015-2016 i magistrati della Procura aveva disposto perquisizioni a società finanziarie e istituti di credito presenti nel Canton Ticino, oltre a sentire persone molto vicine a Matteo Messina Denaro, tra queste Domenico Scimoncelli, imprenditore di Partanna che, secondo gli inquirenti, avrebbe intrattenuto rapporti e fatto affari con il boss di Castelvetrano.

La pista del tesoro in Svizzera

Tra gli imprenditori che avrebbero favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro, anche Giovanni Becchina, 85 anni, accusato più volte di essere stato molto vicino al boss e per questo motivo colpito da provvedimenti patrimoniali che hanno portato a sequestri di beni mobili e immobili. Nel 2017, gli inquirenti hanno eseguito un provvedimento di sequestro di terreni, immobili, automezzi e un’ala del castello Bellumvider, antica dimora di Federico II realizzata nel 1239.

La sua passione per le opere d’arte lo avrebbe da sempre legato alla famiglia Messina Denaro, sin dai tempi del padre del capomafia di Castelvetrano, don Ciccio, il quale secondo gli inquirenti, grazie alla sua attività di tombarolo nel sito archeologico di Selinunte, avrebbe fornito parte dei beni a Becchina. “Io sono appassionato di storia antica da Roma a salire, poi mio padre era mercante d’arte e dove sto io c’è Selinunte. Mio padre non è che ci andava a scavare però a Salinunte, a quell’epoca, c’erano mille persone e scavavano tutte. In genere il 100% delle opere le comprava mio padre che poi venivano vendute in Svizzera e dalla Svizzera arrivavano dovunque: in Arabia, negli Emirati e noi vedevamo cose che passavano da mio padre ai musei americani”. Ha respinto così Becchina le accuse di ricettazione e traffico di droga nei suoi confronti.

Ecco come si sono accumulate le sue ricchezze

Accuse che vennero confermate anche dal collaboratore di giustizia Giuseppe Grigoli e dalle intercettazioni, il quale avrebbe illustrato agli investigatori le modalità di riciclaggio di denaro della mafia castelvetranese, arricchendosi in oltre 30 anni e divenendo titolare di una galleria d’arte a Basilea. Secondo le indagini, infatti, la sua ingente ricchezza sarebbe collegata alla latitanza e alle attività del boss Matteo Messina Denaro. Ed è anche grazie al traffico di opere d’arte dello stesso Becchina che Messina Denaro avrebbe accumulato un patrimonio di circa 4 miliardi di euro, oggi confiscato dagli agenti della Dia. Dalla grande distribuzione organizzata, agli immobili, ai villaggi turistici e al settore eolico: sono queste le principali attività ricollegate al boss di Cosa nostra che viveva nel lusso. E lo si intuisce dall’orologio del valore di circa 30 mila euro che, al momento dell’arresto, aveva al polso.

La sua capacità di fare affari con imprenditori locali ha fatto sì che Messina Denaro divenisse l’uomo più potente all’interno di Cosa nostra. Avrebbe coinvolto imprenditori del calibro di Giuseppe Grigoli, proprietario della rete di supermercati Despar, al quale è stato sequestrato un patrimonio di circa 700 milioni di euro composto da dodici società, 220 fabbricati e 133 appezzamenti di terreno. Altro grande sequestro si sarebbe concentrato sul settore dell’eolico: l’ex boss Vito Nicastri, imprenditore del trapanese ed ex elettricista si sarebbe occupato per anni del tesoro del capomafia di Castelvetrano. Anche il settore del turismo è stato nel mirino della Procura. In quest’occasione è finito nei guai l’imprenditore Carmelo Patti accusato di evasione fiscale e di aver avuto rapporti con Messina Denaro. A seguito di queste inchieste che hanno portato al sequestro di diverse proprietà mobiliari e immobiliari e che hanno permesso di quantificare parte delle ricchezze della “primula rossa”, resta ancora un’incognita ovvero riuscire a capire chi saranno gli eredi dell’enorme capitale dopo la morte del boss.

Chi saranno gli eredi?

I parenti più stretti di Matteo Messina Denaro, tra cui anche la sorella, sono reclusi in carcere, altri sotto inchiesta. Alcuni mafiosi potrebbero già essere in lizza per la gestione degli affari economici del capomafia. Tutto parte dal ritrovamento di alcuni pizzini in alcuni covi utilizzati durante gli anni della lunga latitanza che potrebbero aiutare a comprendere qualcosa in più sul suo patrimonio e su chi possa mettere mani sui soldi. Gli unici eredi in famiglia sembrano essere la figlia Lorenza, classe 1996, nata dalla relazione con Francesca Alagna, la sorella Rosalia e la madre