Mar Rosso, navi sotto attacco
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24 Dicembre 2023Napoli e l’alba nera, la strage dimenticata
Trentotto anni fa il disastro del deposito Agip. Un’esplosione tra i silos di carburante: 5 morti, 165 feriti e 3mila sfollati. Ed è ancora attesa la bonifica.
Napoli, sabato 21 dicembre 1985, notte piena: nella zona est della città, quartiere San Giovanni a Teduccio, la nave Agip Gela, da poco approdata, sta pompando 20mila tonnellate di benzina super nei depositi situati alla Vigliena (in Via Brecce a Sant’Erasmo). Gli impianti portuali sono collegati ai silos e quindi il carburante passa direttamente dalla nave alle strutture di stoccaggio. La città, intanto, di lì a poco, sarà sveglia e caotica come avviene nei giorni delle festività natalizie.
Ore 5:13, un terribile boato sveglia i napoletani
Nella grande area Agip, a circa metà delle operazioni di pompaggio, qualcosa va storto. I serbatoi centrali di raccolta sono già pieni ed una enorme quantità di carburante, forse per una distrazione, fuoriesce senza controllo. Intorno alle ore 4,40 alcuni addetti alla sicurezza, alle prese con uno dei consueti giro di controllo, avvertono un forte odore di benzina. Passano solo pochi minuti ed è il disastro. Alle ore 5:13 decine di migliaia di metri cubi di benzina esplodono: da lì si innesca un effetto a catena che coinvolge altre 30 cisterne che, una dopo l’altra, prendono fuoco.
Napoli e la sua provincia vengono svegliate di soprassalto: in tanti, sentendo il boato, pensano addirittura all’eruzione del Vesuvio. La spaventosa onda d’urto prodotta dall’esplosione investe in pieno un treno della circumvesuviana in transito. Miracolosamente si registrano “solo” feriti (in totale 40 viaggiatori) e nessun decesso. Un capostazione, Armando Sodano, poco dopo il disastro, racconta: “Se la velocità del treno fosse stata quella consueta avrebbe deragliato e ci sarebbe stata una strage“. In diversi palazzi vicini al deposito, vanno completamente in frantumi i vetri e a centinaia, in preda al panico, si riversano in strada. Il boato viene udito in un’area molto vasta, dal centro città alle sue periferie, fino alla zona collinare ed a buona parte dell’hinterland vesuviano.
Una enorme nube nera si alza dalla città
Alle prime luci dell’alba, lo scenario della città che si risveglia appare apocalittico: una densa ed enorme nube di fumo è visibile anche a lunga distanza. Addirittura arrivano segnalazioni da Montevergine, in provincia di Avellino, a 60 km in linea d’aria dal capoluogo partenopeo. Per domare lo spaventoso incendio ci vorranno giorni. Solo lunedì 23 dicembre, a oltre 48 ore dal disastro, i pompieri iniziano ad avere un primo “controllo” delle fiamme. Sono almeno 500 i vigili del fuoco impiegati sul luogo del disastro, con rinforzi giunti anche da altre città.
Le vittime e il bilancio del disastro
Ad essere investiti dalla tremenda esplosione sono in primis i lavoratori dello stabilimento: muoiono Arturo Capece, 35 anni, e Antonio Cozzuti, 45 anni. Altre due donne muoiono sotto le macerie, in seguito al parziale crollo di alcuni edifici di via Brecce a Sant’Erasmo.
Si calcolano in almeno cento i miliardi di lire di danni prodotti dall’esplosione, con migliaia di litri di carburante finiti prima nelle fogne e poi in mare: un danno ambientale incalcolabile.
Come se tutto questo non bastasse, sono circa 3mila gli sfollati, inizialmente accolti sulle navi della Tirrenia: ad appena 5 anni dal terribile terremoto dell’Irpinia (1980), Napoli rivive l’incubo dei “senza tetto”.
Napoli est e la bonifica senza fine
Anni dopo, nel 1998, dopo la grande dismissione industriale, la zona di Napoli est (quartieri di Barra, Ponticelli e San Giovanni) viene dichiarata come fulcro di una vasta azione di bonifica e riqualificazione. Oggi, a 25 anni ed oltre da quel decreto, di progetti di rilancio dell’area orientale se ne sono sentiti tantissimi, di azioni concrete ed efficaci molto meno. Resta, a 38 anni da quel disastro del deposito Agip, la ferita aperta di una strage dimenticata, una delle tante in un Paese, l’Italia, sempre dalla memoria troppo corta e sfuggente.