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La benzina risponde ogni giorno agli umori del mondo, gioie e dolori. Il solo annuncio del vaccino, da parte delle case farmaceutiche, ha portato il prezzo del petrolio a +4% e ha ridato ritmo alle trivelle per il 2021. Poi, la notizia della variante del virus in Gran Bretagna e le quotazioni del greggio si abbassano di nuovo, come a giugno. Il Brent europeo scende di 3 dollari e il Wti americano perde il 6% posizionandosi a 46 dollari al barile (1). Ed è un effetto fisarmonica che si riflette costantemente sul costo della circolazione di persone e merci, e noi spesso nemmeno c’è ne accorgiamo.
Quando ci fermiamo alla stazione di servizio per il rifornimento di carburante, in realtà introitiamo una fetta di mondo: è un vero e proprio risiko quello che mettiamo nel serbatoio, dalle good news alle guerre, passando per l’uccisione del generale iraniano Soleimani. Questo perché i derivati del petrolio risentono in maniera residuale dei costi effettivi di produzione della materia prima, molto di più da ciò che fa percepire sviluppo o crisi nel mondo.
In Italia, in particolare, dove la benzina è una delle più care d’Europa, il prezzo è rigidissimo verso il basso perché la componente effettiva di materia vale solo 42 centesimi al litro, su un totale di 1,41 euro. Il resto è pressoché incomprimibile, 72 centesimi di accise e 25 centesimi di IVA: il 70%, non ha nulla a che vedere con benzina o petrolio. La sola torta delle accise sui prodotti energetici vale per lo Stato 25 miliardi l’anno. È la quarta voce d’entrata tributaria, dopo Irpef, IVA e Ires. Leggermente meglio per il gasolio auto. A tal riguardo va ricordato che il diesel gode dei Sad (sussidi ambientali dannosi) e periodicamente si discute della loro eliminazione che riporterebbe allo Stato 5 miliardi l’anno.
Tra tutte le accise, quelle che colpiscono di più non sono la guerra in Somalia o i terremoti vari, ma l’adeguamento dei contratti per i dipendenti del trasporto pubblico. Pensare di finanziare strutturalmente parte dello stipendio dei tranvieri con la benzina è simbolo delle disfunzioni del Paese. Non a caso, poi, a metà degli Anni Novanta, con l’istituzione del Testo unico delle accise, si è fatta un’operazione per salvare almeno le apparenze: abolire le destinazioni più o meno bizzarre delle vecchie imposte di fabbricazione, introducendo un unico capitolo di spesa generale, senza vincoli. Tutto ciò a differenza di quanto dice l’Europa che concepisce l’imposta sulla fabbricazione di prodotti inquinanti solo per finanziare i controbilanciamenti eco o verdi.
Verificato che la parte prevalente del costo, fatta di accise e IVA, è incomprimibile, soffermiamoci su quella che teoricamente può variare. I distributori di carburante sono circa 21 mila in Italia (il numero più alto in Europa), tra questi sono comprese anche le quasi 7 mila pompe cosiddette bianche che sono le stazioni indipendenti, ossia non legate ai grandi marchi. Tutti sono tenuti a comunicare, ogni settimana, i propri prezzi al cliente. Tale dovere è diventato effettivo dal settembre 2013, da allora perciò sul sito del Ministero dell’Economia sono consultabili le quotazioni in tempo reale di ogni singola pompa di benzina. Il prezzo fatto dall’operatore si gioca tutto sul margine lordo: è la differenza tra il prezzo di vendita, al netto delle tasse, e il costo della materia prima. Serve a remunerare tutti i passaggi della filiera, vale circa il 10%.
Prendiamo come riferimento quest’anno, il 2020, e vediamo cosa è accaduto alla componente della sostanza benzina. A partire da metà gennaio il petrolio ha registrato riduzioni record, in particolare per i problemi di stoccaggio. Le quotazioni al barile (159 litri circa) sono passate da 61,5 euro del 16 gennaio a 19 euro del 13 maggio. A cali del 70% del prezzo del greggio, sono corrisposti al massimo riduzioni del 16%, presso le pompe di benzina. Il fatto che i distributori non abbiamo registrato oscillazioni importanti non significa che i mercati internazionali non abbiamo fibrillato. Ciò che questi hanno registrato sono, in particolare, gli effetti della pandemia e di altre situazioni geopolitiche, così come percepiti sull’economia.
In vista del futuro, ci sono anche tutte le tensioni in seno all’Opec i cui membri controllano poco meno dell’80% delle riserve mondiali. Si stanno riunendo ormai una volta al mese per decidere come procedere, in particolare come Opec Plus, Russia inclusa. La decisione più discussa è quella che riguarda quanto produrre in vista della ripresa del 2021, con aerei ancora a scartamento ridotto. C’è chi è per limitare la produzione (per tenere le quotazioni più alte) e chi per aumentarla. Al momento, si ipotizza di produrre solo mezzo milione di barili in più al giorno, rispetto alle attuali quote “tagliate”, assegnate al proprio interno dalla stessa coalizione Opec. A gennaio il prossimo incontro.
(1)Le due principali tipologie di petrolio quotate sono il Brent e il Wti. Il Brent è quello scambiato sul London International Petroleum Exchange. È il valore di riferimento per i mercati europei. Il nome Brent indica infatti il giacimento del Mare del Nord, anche se oggi definisce i 19 campi petroliferi situati nel Mare del Nord, il prezzo del Brent determina quello del 60% del petrolio estratto nel mondo. Il Wti, che sta per West Texas Intermediate, è estratto e lavorato negli Stati Uniti, e viene considerato di qualità più pregiata.