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8 Settembre 2021Nell’oro e nel feltro è ricamata la storia del suo mondo: Ruth Ost Towner, la cantrice silenziosa d’Alaska
di Lorenza Cianci
Abbiamo ricostruito tutta la sua vicenda. Come se, a raccontarla, fosse, finalmente, lei. Con la sua voce pregiata, rimasta nell’ombra per lunghissimi anni.
Il Centro visitatori di Soldotna, nella città di Kenai, ospita per tutto il mese di settembre la prima mostra al mondo sulla storia dell’Alaska cucita col feltro. A darne notizia, il giornale online Peninsula Clarion. L’autrice artista, scoperta solo 27 anni dopo la sua morte, è Ruth Evangeline Christine Ost Towner. Ha raccontato settant’anni di storia alaskana, ricamandola nella stoffa, dai pionieri dei primi del Novecento agli anni Novecento.
Questa è la mia terra. Le generazioni la chiamano la terra del sole di mezzanotte, l’ultima frontiera del mondo: l’Alaska. Mamma e papà mi hanno concepito in una tenda, esposta al vento dell’inclemente mare di Bering, in un aprile che aveva da poco dato tregua a un inverno rigido, di fatica e di epidemie. In pochi sopravvivevano alle pestilenze del nord-ovest, in quel pezzo di mondo da pochi decenni acquistato per 4 dollari al chilometro quadrato dagli americani. Abitavano, i miei genitori, nel cosiddetto Nome census area. Con poche altre famiglie, anime pioniere e cercatrici d’oro del primo Novecento, come noi: inseguivano un riscatto o, solo, un destino.
Amministrativamente, l’area della città di Nome corrisponde a un distretto di diversi Comuni, che copre tutta la penisola di Seward, un lembo di terra esposto da tutti i lati all’immenso oceano. Sulle principali quattro spiagge aurifere del distretto di Nome lavoravano tutti e tutte: uomini, donne, bambine, cani in fila a slitta. Per darmi alla luce, la mia mamma, Ruth Ost coniugata Evald, partì per il più mite Wisconsin, di laghi, di alte cascate e aria buona, nella ridente contea di Ashland. Sono nata lì, durante l’unica “licenza pionieristica” dei miei genitori, per poi tornare in fretta nel nord-ovest o, come lo chiamate voi: nell’ultima frontiera del mondo. Sono nata sotto il segno del Capricorno il 13 gennaio del 1917 e sono diventata, solo dopo 27 anni dalla mia morte, una delle più autorevoli cantrici della storia dell’Alaska.
Una cantrice devota. Ho trovato un modo tutto mio per scrivere questa nostra storia. L’ho cucita e ritagliata con le mie mani, nel feltro: nelle appliques dei cuscini, dei centri da tavola, dei ninnoli in lana dei nascituri. Piccoli camei in feltro, raffiguranti ognuno un pezzo di vita di settanta lunghi anni, a partire dall’era lontana dei miei genitori: i pionieri d’Alaska del primo Novecento, cercatori d’oro e destino. Lo giurerei a occhi chiusi che ogni abitante della contea ha, nella sua casa, una delle mie appliques, a infiorettare un arredo di stoffa: una tovaglietta da colazione, un morbido cuscino, una coperta trapuntata, un quadro in panno. Una lunga processione di gente, infatti, si è messa in fila fuori dal Centro visitatori di Soldotna del distretto di Kenai, per donare quelle che si sono scoperte essere opere di arte e di storia. In poco tempo, pezzo di stoffa dopo pezzo, «si è creata, quasi del tutto da sola, una mostra», ha detto la responsabile del Turismo e dell’Istruzione del Centro, Sara Hondel. Sono settant’anni di storia. Le ho cucite nel corso di tutta la mia esistenza. Negli sprazzi di tempo libero tra la scuola domenicale, dove insegnavo ai figli d’Alaska a crescere da buoni cristiani; il Scout Den club, il circolo dei boy scout; l’attività di mio marito: estrarre oro e far viaggiare merci lungo la ferrovia sulla Kougerok road. Con lui mi sono trasferita dal distretto di Nome a quello della penisola di Kenai, a poche miglia di distanza dalla città più grande d’Alaska, Anchorage, nel 1967. Quando ci sono arrivata io, eravamo talmente in pochi che non rientravamo nemmeno nelle liste destinate al censimento. Sono diventata anche, in vita, la “Mamma dell’anno”: ho dato sei figli a questa mia terra d’Alaska, 20 nipoti e 5 pronipoti. Sono sopravvissuta solo ad uno di loro: Robert Lincoln è morto che non era nemmeno un bambino. Sono stata invitata, insieme alle altre mamme d’America, al celebre numero 301 di Manhattan, il Waldforf-Astoria Hotel.
Quando cucivo la nostra storia d’Alaska «era tutto nella mia testa», ha detto Sara Hondel. Nessuna scena cucita è uguale a un’altra: variano, almeno, i colori. Disegnavo gli schemi, ricordando la mia vita. Che corrisponde, in tutto e per tutto, alla storia della mia terra e della mia gente. Tra i tanti flash di quotidiana vita alaskana, ho raffigurato la pesca di salmoni nel ghiaccio del lago Scout, a pochi passi da Sterling, nella penisola di Kenai. E poi, le slitte trainate dai cani. Avevo solo otto anni quando, nel posto dove sono cresciuta, a Nome, si era diffusa una violenta epidemia di difterite. Le scorte dei medicinali erano finite: i rifornimenti erano a 700 miglia di distanza. Gli aerei non potevano decollare: la tormenta di neve impazzava. Fu una slitta di cani a recuperare l’antitossina salva vita, nell’arco di sei giorni, il minor tempo possibile. Il siberian husky che conduceva la slitta si chiamava Balto. Ed ecco perché, tra i miei ricami, le slitte trainate dai cani sono così presenti, e importanti.
In un solo anno, il 1986, ho cucito 890 striscioni, 82 cuscini, sei borsette, quattro calze di Natale, e tre piccoli cuscini: «questo è uno sforzo enorme», ha sottolineato Sara Hondel.
Come mi hanno scoperto? Secondo il giornale online Peninsula Clarion, il supervisore del Centro visitatori conservava a casa un mio pezzo ricamato e lo ha portato a lavoro. Se l’è fatto incorniciare e lo ha appeso nel muro del corridoio del Centro visitatori, come una natura morta. Il caso ha voluto che, da quel corridoio, sia passata la giornalista e autrice Naomi Gaede-Penner. Lo ha visto e lo ha riconosciuto: un pezzo classico della signora Towner! Ha raccontato a tutti la mia storia: «Naomi ha chiesto se la Soldotna Historical Society fosse interessata ad organizzare una mostra». Dopo l’okay, tanti hanno donato temporaneamente il “pezzo di stoffa con feltro” al centro visitatori. E la mostra si è fatta da sé. La prima mostra al mondo sulla storia dell’Alaska ricamata nel feltro, i cui pezzi erano sparsi, in giro, nelle case di molti alaskani: qualcuno ci dormiva su, qualcuno ci mangiava a fianco, qualcuno li portava a spasso, come uno sticker su una borsetta. Vista la mia fitta corrispondenza, non mi sorprenderei che qualche pezzo di questa mia storia, sia arrivata da un capo all’altro del mondo.
Come i miei genitori un secolo fa, cercatori d’oro e di destino, anche voi, oggi, avete ricercato e messo insieme i fili di questa storia, cucita su stoffa e sul mio destino. E in quello di quelli come me, della terra del sole di mezzanotte, l’ultima frontiera del mondo, l’Alaska.
Note: per la ricostruzione di questa storia, sono state utili le seguenti fonti:
1) Il sito Find a grave, che ricostruisce la storia di Ruth Ost Towner, sulla base del suo necrologio e delle informazioni di sepoltura;
2) Il reportage fotografico del databse di Mindat.org, un sito che raccoglie informazioni mineralogiche e località interessanti da questo punto di vista.