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25 Novembre 2025Nigeria, attacco alla scuola cristiana: 300 ostaggi. Perché?
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La storia, spesso, è un meccanismo che si ripete. E a ogni reiterazione, il dramma perde vigore agli occhi di un Occidente sazio, distratto e troppo impegnato a guardare il proprio ombelico. È questo il triste destino di una delle più brutali, eppure più ignorate, tragedie del nostro tempo: la sistematica persecuzione delle comunità cristiane in Nigeria. Quando, a fine dicembre 2023, le milizie di pastori Fulani hanno attaccato e raso al suolo oltre 25 comunità nello Stato di Plateau, lasciando sul terreno quasi 170 vittime tra anziani, donne e bambini, non si è trattato di un picco di violenza isolato.
È stato l’ennesimo, sanguinoso capitolo di una guerra che pochi hanno il coraggio di definire tale, una strage che si consuma nella Middle Belt nigeriana, la linea di faglia che separa il Nord a maggioranza musulmana dal Sud cristiano.Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in altri contesti, il martirio dei cristiani nel mondo è un fenomeno che rischia di annegare in un silenzio rassegnato e abitudinario, quasi fosse un evento politicamente imbarazzante da affrontare. Ed è proprio questa l’ombra più inquietante che grava sulla Nigeria: l’ombra di un’indifferenza che spalanca le porte alla complicità.
Attacco ai dormitori della scuola cattolica St. Mary di Papiri, più di 300 ostaggi
La notte di venerdì 21 novembre 2025 ha ulteriormente alzato l’asticella della barbarie e della sfida frontale alle istituzioni, mostrando il volto più spietato di un fenomeno che non è solo ideologico, ma squisitamente finanziario. In una dinamica che ricalca l’orrore già visto negli anni passati, ma con una freddezza rinnovata, un commando di banditi a bordo di circa sessanta motociclette e veicoli armati ha fatto irruzione, nell’oscurità fra l’una e le tre del mattino, nei dormitori della scuola cattolica St. Mary di Papiri, nello Stato del Niger. Il bilancio, drammaticamente aggiornato dalla Diocesi di Kontagora, parla di circa 315 persone ancora in ostaggio tra alunni, studenti della secondaria e membri dello staff.
Non è più un incidente, ma la conferma di un modello: nel mirino non ci sono solo i villaggi della Middle Belt, ma i luoghi della conoscenza, della speranza e della fede.
L’attacco a una scuola cattolica non è casuale: è un atto deliberato per destabilizzare la società civile e perpetrare l’ideologia di chi vede nell’educazione una minaccia da estirpare, il tutto a fronte di un proficuo riscatto. Il gruppo jihadista più attivo in Nigeria, noto come Boko Haram non a caso riporta nella traduzione del proprio nome, ovvero “proibito leggere/vietato educarsi” l’offesa più grande ai valori della civiltà. La violenza è diretta contro la fede religiosa stessa, contro la cultura e l’educazione. Definire la violenza in Nigeria non è solo una questione terminologica, ma un atto di responsabilità.
È sufficiente la definizione di conflitto tra pastori e agricoltori o siamo di fronte a qualcosa di più scientifico e atroce?
Il quadro, oggi, è più limpido, ma non meno inquietante: il genocidio silenziosooperato da milizie armate si è saldato con l’industria del rapimento a scopo di riscatto.
Negli ultimi due anni in Nigeria, si sono registrati oltre 2 milioni di rapimenti, con un pagamento medio di riscatto che alimenta un’industria da oltre un miliardo di euro.
La scuola di Papiri, con centinaia di ostaggi, è un bersaglio strategico per massimizzare il profitto.
Economia del terrore, rapimenti a scopo di riscatto
L’efficacia di questa economia del terrore è proporzionale all’inefficacia, o peggio, alla complicità per inerzia delle istituzioni. Come può un commando a bordo di sessanta moto operare indisturbato per ore, sequestrando un intero convitto, in un Paese che ospita ancora missioni e intelligence internazionali? La risposta è nel vuoto di potere lasciato dal governo, un invito al caos che espone i cittadini all’azione impunita del crimine organizzato.
Il Vaticano denuncia il tentativo di estirpare intere comunità di fede
L’appello del Pontefice, che ha espresso immensa tristezza e chiesto la liberazione immediata degli ostaggi, si scontra con il rifiuto del governo nigeriano di ammettere un piano di persecuzione religiosa sistematica. Questo diniego permette alla classe dirigente di ridurre l’orrore a mera criminalità comune, disinnescando l’allarme internazionale e perpetuando quel pacifismo impregnato di mala fede che favorisce l’aggressore. L’attenzione del Vaticano non è filtrata dalla diplomazia economica o dal contenimento geopolitico, ma è una denuncia morale del tentativo di estirpare intere comunità di fede. La Santa Sede, attraverso i suoi canali, ha il merito di rompere la narrazione riduttiva propugnata dai palazzi di Abuja (capitale della Nigeria) e da parte dei media internazionali, secondo cui gli attacchi sarebbero solo “conflitti tra pastori e agricoltori”. Il Vaticano e la Chiesa nigeriana sottolineano la matrice confessionale della violenza, costringendo il dibattito a confrontarsi con la realtà di una guerra santa strisciante in piena Africa. A tale condanna morale si affianca la risposta attiva delle organizzazioni ecclesiali. Come ha dichiarato p. Silvestri del Movimento Ecclesiale Carmelitano (MEC), la posizione è chiara: «non possiamo e non vogliamo tacere di fronte ai rapimenti e alla violenza islamista». Questa dichiarazione non è solo una presa di posizione, ma un atto che si traduce in un impegno concreto: è stata infatti annunciata per il 30 novembre una giornata di preghiera specifica per i cristiani perseguitati, un momento che cerca di risvegliare le coscienze, dove la diplomazia ha fallito.
Perché l’atteggiamento americano nei confronti della Nigeria è ambivalente
Il dramma nigeriano non è un incidente isolato, ma si colloca nella più ampia cornice di una competizione globale dove l’Africa, ricca di risorse e cruciale per gli equilibri demografici futuri, è diventata una vera e propria scacchiera geopolitica. L’approccio di Washington è caratterizzato da una spiccata ambivalenza. Da un lato, il Presidente Donald Trump aveva minacciato un intervento militare rapido e la sospensione degli aiuti, inserendo la Nigeria nella lista dei Paesi non sicuri per rispondere a quella che l’amministrazione definisce esplicitamente “persecuzione dei cristiani”. Dall’altro lato, pur mantenendo una linea dura, il Dipartimento di Stato, attraverso l’Ufficio per gli Affari africani, ha optato per un approccio meno muscolare, valutando l’imposizione di sanzioni mirate e azioni di contrasto al terrorismo in collaborazione con il Pentagono. Questa strategia cerca di fare pressione sul governo di Abuja affinché affronti la violenza, ma si scontra con la narrativa ufficiale nigeriana, la quale aveva ridotto gli attacchi a un fenomeno criminale che colpisce tutti, a prescindere dalla fede. La Nigeria resta un partner chiave per gli USA nel Golfo di Guinea, e la minaccia di un intervento appare più un monito ideologico che un piano strategico concreto, rivelando la paralisi della prima potenza mondiale tra l’imperativo morale e la realpolitik del contenimento.
Gli interessi di Europa, Russia e Cina in Africa
Le altre potenze occidentali, come l’Europa, restano prigioniere di una risposta diplomatica che tende a sottovalutare la dimensione ideologica e confessionale degli attacchi. Tentativi come il Piano Mattei italiano, pur orientati a lungo termine a contenere l’influenza del blocco BRICS, falliscono nel fornire una risposta immediata a stragi e rapimenti come quello di Papiri. La logica di Mosca e Pechino in Africa è guidata dal bisogno di risorse. La Cina è focalizzata sulla sicurezza delle sue vaste concessioni minerarie e infrastrutturali, agendo come un partner di sicurezza alternativo in cambio di accordi commerciali. La Russia, attraverso i mercenari dell’Africa Corps (ex Wagner), utilizza la vendita di sicurezza e la fornitura di armi per ottenere licenze di estrazione di risorse, un modello che sfrutta il caos per radicarsi.
La Turchia e l’Africa
Il ruolo più dinamico e meno ideologico è quello della Turchia di Erdoğan, che ha triplicato le sue ambasciate nel continente e si è affermata come un attore protagonista in virtù di un approccio pragmatico che combina hard power (vendita di droni, addestramento militare) e soft power (enti caritatevoli). La Turchia non si schiera né con l’Occidente né con il blocco sino-russo, ma persegue con forza i propri interessi nazionali.
Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti per la radicalizzazione dei gruppi estremisti
Più subdolo infine è giocato da attori come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (EAU). Innegabile infatti la decennale penetrazione del wahabismo e del salafismonel Nord della Nigeria. Attraverso fondazioni, scuole coraniche e organizzazioni caritatevoli finanziate in modo opaco, le monarchie del Golfo hanno diffuso un’interpretazione dell’Islam più rigida e intollerante in regioni dove l’Islam era tradizionalmente più moderato. Questa iniezione ideologica crea il terreno fertile per la radicalizzazione di gruppi come i Fulani estremisti e Boko Haram, fornendo una giustificazione teologica alla violenza. Inoltre, gli EAU sono notoriamente attivi nel sostegno finanziario a fazioni in altri teatri africani (come in Sudan a sostegno delle RSF di Dagalo), evidenziando il loro interesse a proiettare influenza e a garantirsi l’accesso a minerali e rotte commerciali.
I corpi decapitati del Plateau e gli studenti innocenti di Papiri sono i “Santi Innocenti” di un continente dove la logica del potere è brutale e spietata, e dove l’istruzione di un’intera generazione è ostaggio del riscatto e della violenza. Fino a quando non decideremo di chiamare la barbarie con il suo nome, e di esigere azioni adeguate e tempestive dalle autorità nigeriane, il sangue versato non sarà il seme di nuovi cristiani, ma il concime di un’instabilità che rischia di infiammare l’intero Sahel.






