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di Daniel Dolci
A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina la Nato ha manifestato il suo dissenso, alcuni stati, addirittura, hanno imposto delle pesanti sanzioni alla Russia. Il quadro politico si è inasprito velocemente e ha guadagnato in complessità, decine di migliaia di ucraini stanno emigrando, in fuga dalla guerra. Nel piccolo della nostra quotidianità, due sono state le principali conseguenze: la prima è che potremmo conoscere qualcuno, o essere noi quel qualcuno, che sta ospitando alcuni sfollati in fuga dalla guerra; la seconda, che riguarda un numero ancor più alto di persone, è il prezzo della benzina. Il costo di un barile è aumentato velocemente a seguito dello scoppio della guerra, e questo ha toccato le vite di tutti, indipendentemente dalle loro idee sulla faccenda. Assistiamo a queste dinamiche sempre più di frequente: c’è un problema da qualche parte, abbastanza lontano, e ci si ritrova a subirne le ripercussioni. Un esempio è ciò che è accaduto la scorsa estate nel Regno Unito: a seguito della pandemia e delle nuove norme portate dalla Brexit il settore dei trasporti è andato incontro a un blocco, di conseguenza, prodotti quali il latte e il pollame (per cui non si può fare affidamento su grandi scorte, e le consegne devono essere organizzate con assoluto tempismo) sono venuti a mancare nei supermercati e nei ristoranti, e gli inglesi sono rimasti senza frullati. Si è addirittura invocato l’intervento dell’esercito per soppiantare gli autisti mancanti. Questo è solo uno dei tanti cortocircuiti economici provocati dal Covid, ma queste inevitabili complicazioni celano il potenziale di insegnarci a riconoscere un concetto fondamentale per il nostro futuro: l’interdipendenza; poiché si tratta di una condizione di fatto, ciò che dobbiamo educare è il nostro sguardo sui fatti e la nostra postura davanti alle scelte che abbiamo da compiere.
Sul The Guardian, un bell’articolo di McKibble ci spiega perché investire in fonti di energia rinnovabile possa essere uno dei modi migliori per mitigare l’ingerenza energetica estera sull’Europa. Un’Europa che funziona con l’energia solare ed eolica, scrive, non finanzierebbe la Russia di Putin, e ne sarebbe meno spaventata; potrebbe imporre ogni tipo di sanzione e aspettare che il suo stato ceda. Il suo ragionamento non fa una piega, e lo sostengo, tuttavia va preso dal verso giusto: il rinnovabile non è un passo verso l’indipendenza di tutti, ma la pietra d’angolo per un’umanità che accetta la sua condizione di interdipendenza, e parallelamente combatte chi vuole imporre il proprio potere sugli altri con il ricatto del costo dell’energia.
Il nodo essenziale, quando si tira fuori questo termine, è proprio il riconoscimento della libertà: in un sistema contraddistinto da una vasta e complessa rete di relazioni, dove tutto è una conseguenza di tutto, dove è andata a finire la nostra sacrosanta inestimabile libertà?
Questa domanda sorge naturale perché, nella concezione Occidentale, la libertà del singolo e l’indipendenza spesso e volentieri coincidono: io sono veramente libero quando non dipendo da nessuno (da nessuno che non comandi, si legge fra le righe). Al contrario, Graeber e Wengrow, nel loro bestseller, L’alba di tutto, uscito in Italia questo febbraio e tradotto da Rizzoli, ci raccontano come nel pensiero indigeno delle popolazioni Wendat dell’America settentrionale la libertà fosse concepita in modo totalmente diverso. La questione acquista di interesse quando si scopre, continuando la lettura, quanto il confronto con queste popolazioni sia stato fondamentale per la costruzione del pensiero Illuminista nell’Europa del 1700. Ciò che, nel confronto di pensieri fra i due popoli, non è riuscito a scavalcare l’oceano è stata proprio la concezione della libertà. i Wendat concepivano la libertà in senso volontario, cioè per loro essere liberi significava che nessuno poteva obbligare nessun altro a fare qualcosa che egli non volesse. Questa prospettiva lascia ampio spazio all’accettazione dell’interdipendenza, come era dimostrato dalle loro società, nelle quali, ad esempio, ognuno coltivava singolarmente la terra ma i prodotti erano venduti collettivamente. In sostanza, questo dimostra che l’opposizione fra interdipendenza e indipendenza (o libertà) è fasulla: noi possiamo essere liberi pur dipendendo da tanti altri esseri umani e non umani.
Di questa nuova postura, dopotutto, si hanno già le avvisaglie: un articolo del New Scientist ci parla di come attorno e in seno a molte aziende stiano avendo luogo scelte orientate al riuso, al riciclo e alla durabilità delle merci che produciamo, la parola d’ordine è economia circolare. Joshua Howgego, l’autore, mette in campo dati e fatti concreti, ma il rischio di posizionarci davanti a questi fatti in maniera fuorviante si ripresenta. Si può pensare, in principio, che a fronte di difficoltà sempre più rilevanti nell’accedere alle materie vergini – il complicato processo di estrazione dei metalli rari, i giacimenti di petrolio sempre più difficili da individuare, l’instabilità geopolitica che non garantisce un’adeguata sicurezza per gli investitori – il sistema stia fisiologicamente cercando soluzioni differenti, in grado di aprire nuovi settori e nicchie di mercato, così da tenere in vita la grande economia dell’energia; oppure, possiamo ammettere che il dibattito ecologista che da un decennio aumenta costantemente in intensità e capillarità – Passando dal greenwashing e dall’energia elettrica necessaria per il mining di bitcoin, ai vantaggi ambientali di shampoo solidi e dentifricio in compresse – stia dando i suoi frutti. Più educati e attenti, la consapevolezza crescente di cittadini e cittadine si sta traducendo in scelte e desideri i quali, a loro volta, stanno portando a un modesto ma concreto cambiamento della direzione politica e industriale.
È fondamentale iniziare a ragionare in termini di interdipendenza, poiché essa è il fondamento sulla quale i discorsi umanitari ed ecologici prendono senso e rilevanza per le nostre vite. Accettare questa nostra strutturale dipendenza dall’altro (e dell’altro da noi) significa stare davanti ai fatti concreti della vita in modo diverso. È stimolante la provocazione che Harti Sharma, nel suo libro Interdipendence. Biology and Beyond, ci lancia: tutti e tutte sono invitati a essere biologi, e con questo termine si intendono coloro che prestano attenzione alle dinamiche della vita, tanto naturali quanto politiche, ne individuino le relazioni e si chiedano quali conseguenze queste relazioni potrebbero avere sugli altri. L’interdipendenza è una postura che ci coinvolge da vicino perché ci ricorda con puntualità che, davanti a qualsiasi fatto che ci si pone davanti, i primi interessati siamo noi. Interdipendenza significa sapere che nella complessità del nostro sistema economico e sociale, nulla di ciò che accade è isolato. Imparando a unire i puntini e ammettendo la nostra interdipendenza, saremo in grado, attraverso scelte sempre più consapevoli, di guidare la costruzione di quel futuro del quale si parla troppo spesso in termini negativi.
(https://it.tradingview.com/chart/?symbol=CURRENCYCOM%3AOIL_BRENT)
(https://euractiv.it/section/brexit/news/dagli-scaffali-vuoti-alla-crisi-della-benzina-regno-unito-in- panne-dopo-la-brexit/)
(https://www.internazionale.it/opinione/roberta-carlini/2021/09/01/brexit-pandemia-lavoro- immigrati)
(https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/feb/25/this-is-how-we-defeat-putin-and- other-petrostate-autocrats)
(https://www.newscientist.com/article/mg25333730-800-the-end-of-waste-the-grand-plan-to- build-a-truly-circular-economy/)