Un paio di scarpe non conformi
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Abbiamo fatto un’analisi su studi e progetti del Ponte sullo Stretto di Messina che potrebbe esserci già costato un miliardo senza esserci. Sono stati spesi trecento milioni di euro in progettazioni e pende ancora una causa da 750 milioni.
C’è una sorta di leggenda popolare in Italia che da diverse generazioni viene tramandata di padre in figlio. Uno spauracchio, una chimera, una specie di formula magica espiatoria. Già nell’ante-Cristo, Plinio Vecchio ne narrò la realizzazione su impulso del console Lucio Cecilio Metello, per trasportare gli elefanti da guerra sottratti ai Cartaginesi durante le guerre puniche. Carlo Magno poi e i Borboni, in seguito, chiamarono a raccolta i propri esperti per studiarne le caratteristiche e i costi. L’idea sembrò diventare concreta nel 1870, sotto il Governo Ricasoli, quando fu addirittura partorito un progetto di un tunnel sottomarino. E di opera sommersa continuò a parlarsi nel 1921, in occasione della presentazione dello studio, firmato dall’ingegnere Vismara. Probabilmente, queste prime righe sono state più che sufficienti per spoilerare l’argomento che approfondiremo oggi.
I ponti di Danimarca e Giappone negli anni Novanta
In un Paese ad economia avanzata del ventunesimo secolo, un transito stabile dello Stretto tra la Calabria e la Sicilia, sarebbe qualcosa di scontato e, già da tempo. Danimarca e Giappone presentarono i progetti dei propri ponti nel 1992 all’Isalb (International Symposium on Aerodynamics of Large Bridges), proprio nella stessa cerimonia in cui venne presentato il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. Danimarca e Giappone consegnarono rispettivamente lo Store Belt e l’Akashi Kaikyo nel 1998. E come non citare il ponte stradale e ferroviario più lungo al mondo, quello sul Bosforo. Ma tant’è, siamo l’Italia, il Paese con la più bassa percentuale di opere pubbliche completate nei tempi e nei budget fissati della zona Euro; il Paese con la più alta incidenza di varianti in corso d’opera. Eppure avremmo avuto, da decenni, tutte le competenze per costruirlo.Le nostre aziende all’estero sono capofila, nella realizzazione di infrastrutture all’avanguardia, nei tempi e nei costi stabiliti. Saremmo stati capacissimi. Ma non ci siamo riusciti.
Governo Meloni e il Ponte sullo stretto
Ci riproverà adesso il Governo Meloni, con un incontro già fissato per l’8 Novembre fra il Ministro alle Infrastrutture Salvini e i Presidenti delle due Regioni coinvolte a trasformare la chimera in realtà. Anche se, dall’interno dello stesso esecutivo, il sottosegretario Sgarbi l’ha già definita ‹‹miraggio››. Ma tant’è, giusto per aprire una parentesi, Sgarbi è la stessa persona che ha recentemente detto: ‹‹le pale eoliche sono orrori e violenza come stuprare bambini››. Chiusa parentesi. Fra Matteo Salvini e Plinio Vecchio, però, c’è una storia che è interessante raccontare, tappa per tappa. Esattamente a sessant’anni di distanza dal tremendo terremoto che aveva raso al suolo Messina, nel 1969 il Ministero dei Lavori Pubblici indice un concorso di idee, aperto ai migliori progettisti internazionali, per definire la soluzione migliore per il Ponte sullo Stretto. Di 143 progetti presentati, a vincere furono ex-aequo sei primi e sei secondi classificati. Per dirla semplice: non vinse nessuno, se non l’idea ingegneristica del ponte a campata unica (che non approfondiamo nei dettagli tecnici per incompetenza in materia di chi scrive.).
Nasce la società Stretto di Messina S.p.A.
Il Ministro del Mezzogiorno Claudio Signorile ne annunciò le realizzazione in tempi brevi. Passano pochi anni e la Legge 1158 sancisce l’istituzione della società Stretto di Messina S.p.A., avviata solo dieci anni dopo, nel 1981, con capitale Italstat, Anas, Ferrovie dello Stato ed entrambe le Regioni. Nello stesso periodo, ENI sostiene una opzione diversa, anch’essa tra i primi classificati ex-aequo del concorso del 1969. È una proposta tecnica di un consorzio inglese, avveniristica per l’epoca, detta SFT (Submerged Floating Tunnel). Ma non se ne fa nulla.
Il Ponte e i progetti degli anni Novanta
Nel 1986 anche Romano Prodi, ai tempi Presidente dell’Iri, infiocchettò il ponte come una priorità, avventurandosi in una dichiarazione secondo cui i lavori sarebbero conclusi nel 1996. Poco prima della vicenda Tangentopoli, arriva il “progetto di massima definitivo” con un costo stimato di tre miliardi di euro. Bisognerà aspettare il 1997 per l’approvazione da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e altri due anni per la delibera del Cipe, che affida le consulenze tecniche e finanziarie. Le elezioni del 2001 riaprono le porte di Palazzo Chigi a Silvio Berlusconi, il quale dopo appena due settimane dal giuramento, vara la cosiddetta Legge Lunardi, o meglio conosciuta, Legge Obiettivo, con cui il Ponte diventa “infrastruttura strategica”.
La comunicazione dell’antimafia
Aprile 2004. In Gazzetta Ufficiale compare il bando internazionale per la selezione dell’appaltatore generale cui commissionare la progettazione definitiva e la realizzazione dell’opera. Fra le cinque finaliste, sarà Eurolink di Impregilo ad aggiudicarsi la gara, con fine lavori in settanta mesi e costi stimati di poco superiori ai sei miliardi di euro. Il Parlamento riceve la comunicazione della Direzione investigativa antimafia, per cui Casa Nostra potrebbe interferire nella realizzazione del Ponte.
Eurolink fa causa e chiede 750 milioni di euro di indennizzo
Le procedure vengono rallentate nel corso del Prodi II, determinato a ritirare l’appalto se non fosse per l’opposizione di Di Pietro e del suo partito. Sarà, così, il successivo “Governo del fare” di Berlusconi a ribadire l’impegno, promettendo di chiudere il cantiere entro il 2016. Ma, intanto, il costo è lievitato a otto miliardi e mezzo. Il lieto fine sembra arrivare sotto l’albero di Natale del 2010, quando Eurolink consegna gli elaborati definitivi delle opere accessorie e compensative. La crisi finanziaria dello spread, ci porta in dono il Governo Monti, che tira il freno a mano, varando il decreto 187 con cui si congelano tutti i contratti. Da qui partono le liti. Il consorzio Eurolink fa subito causa, chiedendo un indennizzo di settecentocinquanta di milioni di euro per la cancellazione dell’appalto. Nel 2018 il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso e siamo tutti in attesa dell’appello, fissato al 16 Settembre 2023.
Dopo qualche anno di dimenticatoio, è il Presidente Renzi a riportare al centro del dibattito pubblico il Ponte dello Stretto, che permetterebbe, tra l’altro, di creare centomila posti di lavoro. Nel 2020, sotto il secondo Governo Conte, il Ministero delle Infrastrutture insedia una Commissione di esperti (le famose task-force), con un rapporto finale, in cui si rilancia una ipotesi che sembrava accantonata, ovvero il ponte a tre campate.
Progetti del Ponte sullo Stretto per trecento milioni di euro
Siamo quasi ai giorni nostri, quando il Governo Draghi affida a Rfi la realizzazione di uno studio di fattibilità, con una consegna slittata ad Aprile 2024. Aiutandoci con un recente approfondimento, andato in onda in uno spezzone di Sky Tg 24 Economia possiamo affermare come, a conti fatti, fra costi di gestione della società, stipendi dei dipendenti, studi e progetti il Ponte sullo Stretto di Messina ci sia già costato circa trecento milioni di euro e pende sempre una causa da settecentocinquanta milioni. Potrebbe esserci già costato un miliardo, insomma, senza averlo mai visto, se non su un plastico durante qualche puntata di Porta a Porta. Le grandi opere nascono da un’idea di futuro e di interesse pubblico.
Il Ponte sullo Stretto di Messina sarebbe il coronamento di un Sud ambizioso, pilastro del corridoio scandinavo-mediterraneo, nella rete TEN-T dell’infrastruttura paneuropea CORE. Scopriremo presto se saremmo costretti ad aggiungere altre righe a questa tragicomica cronistoria. In quel caso, avrà avuto ragione Sgarbi.