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Ora apre la mostra dedicata a Warhol, Basquiat e Haring, ma sembra che ci siamo dimenticati di quando quegli artisti erano davvero di casa in città, nella Bologna del DAMS e dell’underground.
Bologna è come una millefoglie, non la assaporì davvero se non affondi la forchetta fino in fondo e spesso accade che ci si fermi agli strati di mezzo. La composizione si sfalda e non la si apprezza davvero. Lo stesso succede per l’arte. Ed è così che l’arte a Bologna in questo momento: è una forchetta che rimane impigliata a mezza via.
È successo, a palazzo Albergati, qualche mese fa con la mostra di alcune opere di Jago, con la meravigliosa scultura di Benedetto XVI, messa in un cantone, spalle a un muro che così è diventato l’unico privilegiato a poter vedere le membra della vecchiaia,
La mostra dedicata a Warhol, Basquiat e Haring
E accade ora, con la mostra dedicata a Warhol, Basquat e Haring. L’esposizione è molto interessante, originale nell’idea di tenere insieme, nell’energia travolgente a cavallo degli anni settanta e ottanta, la musica, l’arte, il cinema e tutto ciò che è creatività. La culla di questo crogiolo esplosivo è il famoso Studio 54 di New York, il disco club amato da Mike Jagger, Andy Warhol, e pure da Truman Capote, il grandissimo scrittore di A Colazione da Tiffany, ma anche di A sangue freddo, il primo vero romanzo in cui si racconta che cosa possono fare soggetti antisociali nella vita normale di una normale cittadina.
Le foto di Allan Tannenbaum
Le foto di Allan Tannenbaum sono straordinarie, una rapida stilettata di vita, con un bianco e nero che saetta. Lui, per intenderci, è il grandissimo fotografo newyorchese che ha realizzato la famosa foto di John Lennon e Yoko Ono nudi abbracciati. Le fotografie esposte sono un affresco delle celebrities di quegli anni, ma soprattutto del mood sociale di cambiamento. La cultura Queer e la comunità LGBTQIA+ sono già di casa allo Studio 54.
È un tour quello per la mostra a palazzo Belloni che è come salire su una giostra, non c’è che dire, anche il giro in giostra con brivido. È un’esposizione di un mondo underground completamente ripulito dallo sporco della terra da cui proviene che, per una beffa del destino, è humus bolognese. Non c’è un richiamo, un “cameo”, come definiscono nel cinema una semplice e fugace apparizione di un personaggio famoso. In questo caso il personaggio dovrebbe essere la Bologna in cui il 1977 cedeva il passo agli anni Ottanta. Non c’è menzione di quella città in cui nasce il DAMS, in cui l’arte e la musica escono dal livello -1 delle cantine e in cui il magma artistico risale dalla Bologna sotterranea per pervadere i sanpietrini su cui oggi ancora si cammina.
Bologna, il Dams e Francesca Alinovi
C’è un’amnesia. I Basquiat e gli Haring li ha tenuti a battesimo questa città. Vanno ancora giovanissimi nel salone di Orea Malià, sono a Bologna, curiosi di conoscere quella città “rossa politicamente, ma a stelle e strisce per tutto il resto”. È Francesca Alinovi, docente, critica d’arte e la prima donna curatrice di mostre, che riconosce il talento di questi kids prima di tutti gli altri. Li incontra durante i suoi famosi viaggi nel South Bronx, negli anni in cui graffittari neri e anche bianchi conducevano le loro battaglie sociali armati di bombolette.
Perché è così importante questo rimando? Perché segna un’epoca fondamentale per la città di Bologna che si impregna di arte fino al midollo o fin nelle viscere. Ma soprattutto perché il mondo tutto ne ha beneficiato. Sono quelli gli anni in cui gli assi come questo, Basquiat-Haring-Alinovi, stanano l’arte popolare e la fanno volare alta.
Street art e pop art nei musei
Accade una rivoluzione artistica, anche se troppo vicina per essere colta a pieno, che si annoda con due momenti epocali ormai cristallizzati: quando l’arte uscì dalle chiese e finì di rappresentare solo il sacro, per cominciare a mostrare il profano; quando si osò di nuovo moltissimo cominciando a mostrare mondi nuovi, scomposti dalla nostra mente e dal nostro inconscio, e si ritrassero realtà non necessariamente figurative, con le meravigliose avanguardie del Novecento. A questi due passaggi storici si aggiunge, quindi, quello di cui stiamo parlando: quando la street art e la pop art possono essere apprezzate da tutti perché si trovano per strada, nelle metropolitane, sui muri. e danno vita a un processo fino a poco prima impensabile. L’arte esce dai musei e dai luoghi fino ad allora deputati, è sotto gli occhi di tutti. Ma il processo non è finito, assurgono a tal punto a forme artistiche riconosciute che, dalle strade, possono fare ingresso nei musei e nei palazzi da esposizione, dando nobiltà artistica agli strati del livello -1. Accendendo le luci su tutte quelle che sono le pulsioni umane.
Su questa parte di storia di Bologna consigliamo di ascoltare questo straordinario podcast.