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Di rosso vestiti, fanno consegne etiche ed ecologiche a Firenze
di Melissa Aglietti
È una domenica pomeriggio di fine novembre. Nadim Hammami sfreccia con la sua bicicletta sotto il cielo di Firenze che promette pioggia e fulmini. A differenza degli altri rider che si vedono in giro per la città, non indossa la tipica divisa arancione o celeste, in linea con i colori delle grandi piattaforme come Just Eat o Deliveroo, che permette di distinguere i lavoratori del food delivery dai semplici cittadini in bicicletta. Nadim, che è tra i soci fondatori della cooperativa Robin Food, veste, infatti, di rosso. Robin Food, composta da rider fiorentini, ha cominciato le consegne lo scorso 10 novembre. Con un obiettivo ambizioso: rendere il food delivery etico ed ecologico, arginando lo strapotere delle piattaforme tradizionali.
Dalla piazza alla bicicletta
Firenze, come Bologna e Milano, è stata tra le piazze dove le lotte dei rider hanno fatto scuola, ricordandoci che le mobilitazioni per chiedere dignità sul lavoro sono ancora una lingua parlata da qualcuno. Perché delle diecimila persone che lavorano in Italia come rider, una buona fetta, oltre il 20%, lo fa come lavoro unico. «Sono un rider di lunga data», racconta Nadim. «Ho cominciato cinque anni fa». All’epoca, il colosso del food delivery Just Eat era appena sbarcato a Firenze. «All’inizio era solo un lavoretto, per cui facevo meno attenzione ai problemi che potevano esserci per noi lavoratori. Con l’arrivo di altre piattaforme, però, è scattata una lotta al ribasso, con pagamenti sempre più insignificanti e difficoltà maggiori a organizzare i turni di lavoro». E così i rider sono scesi in piazza. «Ma un reale cambio di passo da parte delle piattaforme non c’è stato», spiega Nadim. Da qui, l’idea di una società cooperativa. «Con le piattaforme non era possibile fare affidamento sui possibili guadagni. Così è nata l’idea di Robin Food: volevamo creare un’alternativa più solida e più stabile, che ci desse la possibilità di lavorare e gestire in modo autonomo i carichi di lavoro». Robin Food è nato grazie a un crowdfunding, che ha permesso a Nadim e agli altri sette soci fondatori di raccogliere 6.000 euro. Non una cifra enorme come investimento iniziale. «C’è, però, da crearsi la clientela», precisa Nadim. «Bisogna essere sostenibili anche economicamente». Al momento, Robin Food serve il centro città e alcune aree periferiche. Il tutto rigorosamente in bicicletta. «Firenze è una città che si presta bene all’utilizzo dei mezzi ecologici: non è particolarmente grande e non ci sono molte salite. Per questo è facile usare la bicicletta o la bicicletta elettrica», dice Nadim. «C’è poi un valore etico che vogliamo difendere con l’uso di soli mezzi ecologici, perché sappiamo bene cosa significa respirare l’inquinamento e le ricadute sul clima dell’utilizzo dei mezzi a motore. In questo modo, riprendiamo anche quello che era il food delivery al momento della sua nascita: in bici e con distanze ragionevoli. Oggi i percorsi si sono allungati e le piattaforme danno la precedenza ai motorini e alle auto. Ma questo non è il food delivery che piace a noi».
Le alternative italiane alle grandi piattaforme di food delivery
Come spiega Nadim, Robin Food non è il primo esperimento italiano di food delivery etico e sostenibile. «A Verona, ad esempio, è nata la prima realtà alternativa alle grandi piattaforme», dice. Altre aziende e cooperative nasceranno nei prossimi mesi. Altre, invece, si stanno consolidando come Giusta a Roma o SoDe a Milano. «Siamo tutti accomunati dalla ricerca di un modello alternativo, anche se ci sono delle differenze». Tra queste realtà, però, c’è comunicazione. «Ci scambiamo informazioni, anche se non in forma continua e costante. Con i rider di Verona, ad esempio, ci siamo confrontati spesso. Con SoDe, invece, ci siamo scambiati informazioni sulle modalità di crowdfunding. Con altre realtà, però, non c’è stata una connessione così forte», racconta Nadim. La nascita di esperimenti etici e sostenibili, alternativi alle grandi piattaforme, non è, però, una peculiarità italiana. Anzi: secondo Nadim siamo addirittura un passo indietro rispetto ad altri Paesi europei e non. «Come Robin Food ci appoggiamo a CoopCycle, una federazione di cooperative che opera nel bike delivery e che va oltre la sola dimensione della consegna di cibo a domicilio. Sono più di 60 le cooperative in tutto il mondo che ci aderiscono e che si contrappongono alle multinazionali. Ma in Italia noi siamo i primi ad aderire in Italia». È CoopCycle a fornire a Robin Food il software con cui organizzare le consegne. «Stiamo però lavorando allo sviluppo di una nostra applicazione». Adesso, però, lo scoglio da superare è la sostenibilità economica. «Noi paghiamo i rider con contratti da dipendenti e questo è costoso. Per far funzionare il business deve esserci, quindi, un buon numero di ordini. Per questo dobbiamo riuscire a far presa sulla città», dice Nadim. Ma c’è comunque una buona notizia. «Rispetto alle grandi piattaforme abbiamo il vantaggio di essere molto presenti sul territorio. Siamo tutti fiorentini ed è quindi più facile ricorrere al passaparola, così come è più facile che il ristoratore decida di scegliere noi rispetto ad altre piattaforme». Insomma, economia locale, paghe dignitose ed ecologismo sono gli ingredienti dell’alternativa sostenibile ai giganti del food delivery e della gig economy: dopo le lotte nelle piazze, i rider ci insegnano come passare dalla teoria alla pratica.