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Big Tech vs Cremlino: RuNet e pirateria le soluzioni russe
di Silvia Cegalin
Google, YouTube, TikTok, Netflix e Telegram sono solo una parte delle Big Tech che a seguito dell’invasione compiuta dall’esercito russo contro l’Ucraina hanno deciso di sospendere, in parte o nella totalità, i loro servizi in Russia o, come nel caso Apple o Microsoft, la vendita dei loro prodotti.
Un braccio di ferro che vede: da una parte il Cremlino con l’attuazione di potenti azioni censorie espresse nel disegno di legge approvato i primi di Marzo dalla Duma che prevede 15 anni di carcere per chi diffonde notizie considerate false dal Roskomnadzor,e poi proseguite con l’oscuramento di Facebook, Twitter e dei media indipendenti; e dall’altra le piattaforme che cercano di interrompere il flusso di fake news provenienti da canali, da account o bot affiliati al Cremlino.
Scelte che hanno condotto a un isolamento della Russia; uno scenario che però non è giunto totalmente inaspettato.
Balcanizzazione di internet: la via verso una sovranizzazione tecnologica
È il 1º Novembre 2019 quando in Russia entra in vigore la legge federale N 90-FZ conosciuta come Legge sull’Internet sovrano attuabile in caso di attacchi cibernetici o disconnessione dall’infrastruttura globale (WWW), che permetterebbe la navigazione online nel territorio russo grazie alla rete nazionale RuNet, anche detta RuCom. Un’eventualità a cui il governo russo aspira perché consentirebbe un controllo totale improntato sulla sorveglianza e la censura.
Un piano, questo, che si colloca all’interno di un modello di internet definito balcanizzazione di internet o splinternet, cui obiettivo è sostituire l’attuale rete globale e aperta con un internet frammentato e delimitato dai confini nazionali; una metamorfosi che, inevitabilmente, condurrebbe verso una sovranità digitale.
Pratiche che, non serve precisarlo, attirano tutti quei regimi autoritari e totalitari che ambiscono ad avere il pieno monitoraggio dei propri cittadini, nonché delle piattaforme stesse.
L’articolo 1360 del codice civile russo permette una condotta pirata
In queste settimane l’assenza dei colossi tecnologici ha scatenato in Russia il riflesso di un’autarchia digitale, manifestata, ad esempio, tramite l’utilizzo dei telefoni Ayya t1, del social Vkontakte, al posto di Facebook, e del motore di ricerca Yandex, in sostituzione a Google.
Se da un lato, dunque, la Russia si affida ai propri marchi alimentando un forte nazionalismo, dall’altra ha comunque trovato il modo per bypassare la dipartita delle Big Tech.
A fine Aprile 2021 il presidente russo ha infatti approvato la legge n. 107-FZ, introducendo modifiche all’articolo 1360 della parte quarta del codice civile della Federazione russa.
Un articolo che autorizza, in casi di emergenza, ad usare, anche se privi di licenza e consenso del titolare, qualsiasi invenzione, modello di utilità o disegno industriale senza (ed è quest’ultima la parte modificata nell’articolo) dover risarcire il fornitore. Una pratica che è stata definita “pirata”, e che permette ai russi di continuare ad adoperare le strumentazioni delle Big Tech, eludendo una parte delle sanzioni imposte dalle società medesime.
L’eterno braccio di ferro tra Big Tech straniere e la Russia
Se con la guerra in Ucraina i rapporti tra Big Tech straniere e la Russia sembrano ormai essere giunti al capolinea, la relazione tra queste due parti non ha mai goduto di stabilità.
Nel Novembre 2021 dal Roskomnadzor giunge l’avviso che le aziende tecnologiche con oltre 500 mila registrazioni al giorno sono obbligate, entro il 2022, ad aprire una sede o una filiale nel suolo russo. Una strategia che si inserisce nel progetto di sorveglianza nazionale tanto ambita dal governo di Putin, che così potrebbe fare una maggiore pressione sulle scelte aziendali di imprese straniere e accedere più facilmente ai contenuti pubblicati dai suoi cittadini.
Un’azione che si affianca alla normativa russa di trattamento e custodia dei dati personali entrata in vigore a Luglio 2021 e che ordina che i Big Data dei cittadini russi rimangano all’interno di server locali. Misure che, come si può intuire, rientrano in una cyber – balcanizzazione che per la Russia sembra essere sempre più vicina.