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Storia di diplomifici

Ecco cosa sono e come funzionano. Dal personale docente privo di abilitazione e persino del titolo di accesso per l’insegnamento delle discipline, alle scuole alberghiere senza cucine.

La scorsa settimana, poco più di mezzo milione di studenti italiani, dopo aver cantato “Notte Prima degli Esami” di Antonello Venditti, fra abbracci, lacrime e birre, è tornato sui banchi di scuola per l’ultima volta. Il rito imbalsamato degli esami di maturità si è aperto con le fatidiche prove scritte e, in questi giorni, si sta consumando con le prove orali. Qualcuno fra quel mezzo milione di studenti è già al mare spensierato, qualcun altro sta contando i giorni che lo separano dal proprio colloquio dinanzi la terribile Commissione, guardando il sole che sbuca dalla finestra della sua cameretta, mentre è sui libri a ripassare.

Qualcun altro, invece, fra quel mezzo milione di studenti, se n’è stato beato e sereno, certo che quel “pezzo di carta” nessuna Commissione avrebbe mai potuto toglierglielo e, magari, anche con un bel voto, vicino al 100, stampatoci sopra. È il caso di quegli studenti iscritti ai cosiddetti diplomifici, svariati istituti paritari sparsi un po’ in tutto il Paese, con parte del personale docente privo di abilitazione e persino del titolo di accesso per l’insegnamento delle discipline. Ma anche istituti privi di laboratori specifici per l’indirizzo scolastico…ad esempio scuole alberghiere senza cucine! E ancora, mancato rispetto dei quadri orari delle discipline e spesso eliminazione dal piano di studio di alcune di esse. Per non farci mancare niente, molti di questi diplomifici hanno fra i propri iscritti studenti residenti fuori regione e quindi non proprio predisposti ad una regolare frequenza delle lezioni.

Il Piano di vigilanza porta alla chiusura di 47 scuole

Queste sono alcune delle irregolarità emerse dai controlli del Piano Straordinario di Vigilanza lanciato dal dicastero dell’Istruzione qualche mese fa e che al gong, degli esami di maturità, ha portato all’annuncio da parte del Ministro Valditara della chiusura di 47 scuole fra Campania, Lazio e Sicilia. Per loro la revoca della parità scolastica è già una realtà. Per tutte le altre, nelle loro stesse condizioni, è solo questione di tempo. La guerra di Valditara ai diplomifici è solo all’inizio. Il Ministro ha annunciato un nuovo pacchetto normativo per contrastare le anomalie riscontrate. Tra queste, anche nuove regole per il sostenimento contestuale di esami per più anni scolastici. Per una parte degli istituti, il recupero-anni si configura come un business a tutti gli effetti, sacrificando un reale accertamento delle competenze acquisite.

In arrivo le norme anti diplomifici

Le nuove misure hanno già ricevuto il via libera in Consiglio dei Ministri, incardinate nel disegno di legge Semplificazioni, che è di imminente presentazione alle Camere e sarà approvato entro la fine di quest’anno. Un toccasana innanzitutto per le tante altre scuole paritarie, rispettose degli effettivi standard qualitativi e impegnate nel garantire ai propri studenti percorsi d’istruzione virtuosi. Il pregiudizio di chi le delegittima, facendo di tutta l’erba un fascio, inizierà ad avere meno fondamento, dopo questa lente posta dal Ministero. Una lente, che prima o poi dovrà posarsi anche sulle scuole statali. Alcune delle anomalie indicate in precedenza, del resto, potrebbe essere rilevate anche lì ed anche fra esse pesano differenze di standard qualitativi, che intaccano l’intero sistema d’istruzione nazionale. Per dirla in breve: la perfezione e la purezza non va ricercata solo nelle paritarie, perché questo sarebbe soltanto il tentativo di un codardo atto di assoluzione collettiva.   Quel mezzo milioni di studenti che sta sostenendo l’esame di maturità in questi giorni sarà valutato da Commissioni diverse, in alcuni casi con professori sorteggiati fra i pensionati, in territori diversi e tutti ne usciranno alla stesso modo, con un numerino che va da 60 a 100, stampato accanto al proprio nome. Un numerino che in alcuni concorsi pubblici ancora è determinante e dunque incide fortemente sul mondo del lavoro.

Siamo sicuri che non esistano anche diplomifici di Stato?

Nel nostro Paese, il dibattito pubblico e politico sul sistema di formazione del capitale umano è ancorato ad una sola policy: più risorse pubbliche per stabilizzare il personale, magari anche senza concorso. Non c’è spazio per proporre altre azioni, non c’è spazio per instaurare un confronto senza tabù con il mondo della conservazione scolastica. Non sia mai che esso venga corroso dall’indomabile brezza riformista. Eppure, ne trarrebbero vantaggio soprattutto la maggioranza degli insegnanti costretti a ricevere lo stesso stipendio del collega che in classe gioca alle parole crociate o che vive il suo lavoro come un count-down verso la pensione.

Soltanto parlare di differenziazione delle carriere e di autonomia del corpo docente in Italia viene visto come una eresia. 

Il sistema scolastico dell’Estonia

Eppure, questi sono alcuni dei principi alla base del sistema scolastico più efficiente forse dell’intera Unione Europea, ovvero quello dell’Estonia, che tanto ha puntato anche sulla digitalizzazione e orienta l’esperienza di apprendimento di ciascuno dei suoi studenti lungo tre direttrici: sviluppo accademico, stabilità emozionale e intelligenza sociale.

Vi lascio con una riflessione di Pino Suriano, vulcanico professore lucano sempre impegnato in iniziative culturali e di divulgazione, che ho avuto il piacere di incrociare ai tempi in cui frequentavo il liceo. Uno che il prof lo fa davvero con passione, con energia e con una visione. Fra le sue tante attività, collabora con diversi giornali locali e nazionali. Questo l’estratto di un suo articolo pubblicato su Il Riformista: “Hanno ancora senso quell’esame e quel voto finale, privo di aggancio con la realtà effettiva delle competenze acquisite? Non è forse il caso di tornare a parlare dell’abolizione del valore legale del titolo di studio? Se quel numeretto senza senso perdesse valore, lo acquisirebbero, come per magia, proprio quelle competenze (che tanto impropriamente vorrebbe misurare) e soprattutto gli istituti che effettivamente le erogano. Comincerebbe la corsa alla qualità, non più al miglior voto. E a trarne vantaggio saremmo tutti noi”.