Storie di Stadio / 12 giugno 1983: assassinio al ‘Cibali’

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Storie di Stadio / 12 giugno 1983: assassinio al ‘Cibali’

Un morto e decine di feriti per il folle gesto del custode dell’impianto di Catania, prima della partita contro il Perugia.

Domenica 12 giugno 1983, allo stadio “Cibali” di Catania è in calendario la sfida tra i padroni di casa ed il Perugia: il match è valevole per il campionato di serie B. Si tratta dell’ultima sfida del torneo e lo stadio è pieno. Ansia collettiva e adrenalina sportiva sono a mille, perché gli etnei sognano la storica promozione nella massima serie (evento che si verificherà grazie agli spareggi di Roma di fine giugno ’83 che consentiranno all’undici rosso-azzurri di conquistare la Serie A). La partita col Perugia vive altalenanti emozioni e finisce 2-1, con una bella rimonta del Catania che era finita, inizialmente, sotto 0-1 per il goal di Amenta messo a segno dagli umbri. 

Nel pre-partita la tragedia

Prima di quel trionfo però, nel pre-partita, si era consumata una tragedia a dir poco assurda. Mentre le due squadre facevano il proprio ingresso in campo, salutate dal pubblico entusiasta e con gli spalti stracolmi di bandiere rosso-azzurre, nel trambusto tipico di uno stadio in festa, insieme ad alcuni mortaretti utilizzati a scopo pirotecnico, qualcuno esplose anche nove colpi di fucile. Come é possibile? A.G., 53 anni e padre di 11 figli, custode dello stadio, si sentiva da tempo vessato da alcuni tifosi della curva rossoazzurra che avrebbero preso di mira la sua abitazione posta proprio sotto gli spalti dello stadio. Infuriato per quello che riteneva essere l’ennesimo episodio vessatorio nei suoi confronti, il custode decise di imbracciare il fucile da caccia regolarmente detenuto e sparò alla cieca verso gli spettatori. Nel volgere di pochi secondi sulle tribune si scatenò il panico, con un fuggi-fuggi generale e la folla che si accalcava cercando vie di uscita. A terra caddero in tanti, i feriti non si contavano. 

1 morto, 1 ferito grave, a decine colpite dagli spari

Ad avere la peggio, in quella tragica domenica, è Lorenzo Marino, 28 anni e padre di due figli, che lavora come metronotte: viene centrato da diversi proiettili proprio mentre è sul punto di vedere la partita insieme ad altre migliaia di tifosi assiepati in Curva Sud. I proiettili raggiungono il tifoso alla testa: per lui non c’è niente da fare. Un altro tifoso viene ferito gravemente, colpito alla spalla ed al volto, perderà un occhio e si salverà per miracolo. Il tempestivo intervento dei carabinieri impedisce che la tragedia assuma contorni ancora più ampi e devastanti. Esauriti infatti i primi 9 proiettili, A.G. viene fermato proprio negli attimi in cui è intento a ricaricare l’arma, probabilmente perché voleva rivolgerla nuovamente contro la folla. Viene per fortuna fermato (dai Carabinieri Antonio Aiello e Francesco Greco) ed offre la sua versione dei fatti: “Non volevo – dice – non è colpa mia, sono stati loro a provocarmi, non ce la facevo più“.

L’antefatto e le provocazioni 

Stando a quanto raccontato ai carabinieri, come venne riportato dai giornali e dalla cronaca dell’epoca, il folle gesto del pre-partita di Catania-Perugia non fu che il tragico culmine di una vicenda nata nei mesi precedenti. In pratica, quasi in ogni match disputato al “Cibali”, vari groppuscoli di giovani teppisti avevano l’abitudine di provocare il custode. La casa di A.G., come detto, è proprio sotto la curva Sud, dove prendono posto abitualmente i sostenitori più caldi del tifo etneo. Addirittura pare che tra loro ci fosse chi si divertiva ad orinare dall’alto sull’abitazione del custode. Con questo gesto infame, non erano stati rari purtroppo altri gravi episodi di scherno e vandalismo, come i lanci di rifiuti all’indirizzo delle finestre e della porta della casa e addirittura di gesti osceni all’indirizzo della moglie e delle figlie del custode.Dopo la sparatoria, in totale sono 25 i tifosi raggiunti direttamente o indirettamente dai proiettili e dalle schegge degli stessi. 

Processo e condanna (con attenuanti)

A due anni circa di distanza dai tragici eventi del “Cibali”, nel 1985, si celebrò  il processo al custode. A.G. venne condannato a tredici anni di carcere. Ad emettere la sentenza la Corte d’assise di Catania. L’allora pubblico ministero aveva chiesto ventidue anni di reclusione, ma il tribunale, tenuto conto del clima in cui era maturato l’episodio, riconobbe all’imputato le attenuanti generiche e quella della provocazione. A.G. venne ritenuto colpevole di omicidio volontario e lesioni plurime, ma nell’imbracciare il fucile da caccia era palesemente accecato dalle umiliazioni subite in precedenza. Troppi gli episodi che si sarebbero verificati con soprusi, provocazioni e bullismo da parte di teppisti e vandali che, dagli spalti, avevano fatto dell’abitazione del custode il proprio bersaglio preferito. 

Fonti: articoli di cronaca e www.saladellamemoriaheysel.it