Svezia-Iran: è scambio di prigionieri, liberato l’ex IRGC Hamid Nouri

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Svezia-Iran: è scambio di prigionieri, liberato l’ex IRGC Hamid Nouri

Nonostante i vari appelli della comunità iraniana e delle associazioni umanitarie a non trattare con Teheran, continuano gli accordi tra i Paesi Europei e il regime teocratico iraniano.

“Sebbene con un ritardo di ben 35 anni la sentenza è arrivata, e giustizia è stata fatta (almeno per ora)”.

Così scrivevo in un articolo nel Dicembre 2023 in riferimento alla decisione della Corte suprema di Svezia di condannare all’ergastolo Hamid Nouri, alias Hamid Abbasi, ex funzionario della sicurezza iraniana, reputato colpevole per crimini di guerra e omicidio in riferimento alle esecuzioni di massa del 1988 in cui migliaia di prigionieri politici vennero condannati a morte.

Un senso e dovere di giustizia che però è durato soltanto qualche mese, infatti l’ex guardia carceraria dell’IRGC è stata rilasciata dalla Svezia sabato 15 Giugno in cambio di Johan Floderus (giovane diplomatico svedese arrestato il 17 aprile 2022 all’aeroporto di Teheran e accusato di spionaggio) e di Saeed Azizi (cittadino con doppia cittadinanza condannato a cinque anni di carcere dal Tribunale rivoluzionario di Teheran con l’accusa di “assembramento e collusione contro la sicurezza nazionale”).

La Repubblica islamica dell’Iran è dunque riuscita ancora una volta nel suo intento: utilizzare stranieri o persone con doppia nazionalità come merce di scambio per chiedere concessioni all’Occidente. Non a caso nello stesso articolo in cui comunicavo la sentenza di Nouri, mettevo in previsione che Floderus potesse essere usato come ostaggio per un possibile scambio; cosa che poi si è verificata. 

La Svezia negoziando la liberazione di un criminale, quale è Nouri, ha in qualche modo dimostrato che gli Stati occidentali e democratici pur di salvaguardare i loro interessi, o i loro cittadini come in questo caso, sono disposti a scendere a patti con dittature e regimi, e dunque di “sospendere” il diritto e la giustizia internazionale.

Gli scambi di prigionieri, e la politica contraddittoria ed ipocrita dell’Europa

«Non ridurremo la pressione finché il regime iraniano non porrà fine alla violenza contro le proteste pacifiche, non porrà fine alle detenzioni arbitrarie, non annullerà le condanne a morte e non rilascerà tutti coloro che sono ingiustamente detenuti. (…) È nostra responsabilità amplificare la voce delle donne forti in Iran parlando noi stessi forte e chiaro. Non smetterò mai di parlare forte e chiaro contro i mullah e gli ayatollah. Parliamo tutti affinché le forti donne iraniane possano ascoltarci. Questo è ciò che rappresenta questo premio»

Questo dichiarava Ursula von der Leyen durante la cerimonia di premiazione del premio M100 Media conferito al Movimento “Donna -Vita – Libertà” il 14 Settembre 2023 presso Postdam. Belle parole a cui però sono seguiti pochi fatti. A parte le tanto declamate sanzioni europee (tra l’altro atte a colpire singoli individui, aziende o università, e non, ad esempio, a designare come organizzazione terroristica il Corpo delle Guardie di sicurezza, l’IRGC, colpevole di aver ucciso e ferito milioni di manifestanti e represso violentemente le proteste), se si valuta la condotta che i singoli Paesi dell’Unione hanno avuto verso la Repubblica islamica dell’Iran, si scoprirà che le varie Nazioni così severe e rigide con Teheran, e i loro ambasciatori, non lo sono mai state, e che anzi, si è anteposto il proprio interesse nazionale ai tanto declamati diritti umani internazionali. 

Emblematici a tal proposito sono stati gli scambi di prigionieri. La Svezia infatti non è l’unico Paese che in questi annirecenti ha contrattato con l’Iran.

Nel 28 Maggio 2023 dopo una detenzione di 455 giorni basata su false accuse di spionaggio, l’operatore umanitario belga Olivier Vandecasteele è stato liberato dalla Repubblica Islamica dell’Iran, in cambio di Assadollah Assadi, terrorista condannato a 20 anni di carcere per aver orchestrato, assieme ad altri due cittadini belgi, un attentato dinamitardo nel giugno 2018 contro il raduno del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (NCRI) nei pressi di Parigi. 

In questo caso, come sottolineai in un mio articolo, fondamentale per lo scambio è stato l’accordo tra il governo belga e quello iraniano inerente il trasferimento delle persone condannate da un Paese all’altro. Questo trattato (si veda articolo 3, pagina 251) consente agli iraniani condannati in Belgio di scontare le loro pene in Iran, e viceversa, oltre che permettere a ciascuna parte di concedere l’amnistia. Evidentemente quando von der Leyen faceva il suo discorso si era dimenticata di questa vergognosa negoziazione e di questo patto. 

O, andando un po’ indietro nel tempo, la Germania quando rilasciò, dopo 15 anni di carcere, Kazem Darabi, condannato all’ergastolo dalla Corte Suprema di Berlino per essere l’ideatore e uno dei colpevoli della strage del del 17 settembre 1992 al ristorante Mykonos a Berlino, che vide l’uccisione di quattro dissidenti kurdo-iraniani ad opera di agenti iraniani.

Inutile dire che questa trattazione incoraggiò la Repubblica islamica a proseguire con la politica degli ostaggi e a perpetuare minacce verso gli iraniani all’estero, che dopo rilasci e accordi di questo tipo, realizzano, ieri come oggi, che nella loro lotta contro il regime sono soli. 

Le reazioni alla scarcerazione di Nouri 

«Il Center of Human Rights Iran chiede a tutti i governi che hanno cittadini detenuti nella Repubblica islamica di astenersi dal fare accordi bilaterali con l’Iran sui prigionieri, pretendendo invece una risposta multilaterale forte alla presa di ostaggi da parte dell’Iran che non premi in alcun modo il comportamento criminale della Repubblica islamica (…). Finché i paesi continueranno a premiare l’Iran per questo comportamento oltraggioso e criminale, che ha distrutto la vita di così tanti innocenti cittadini stranieri e con doppia cittadinanza, possiamo aspettarci che le autorità iraniane continuino a sequestrare e imprigionare più persone»

Questa parte della dichiarazione di Hadi Ghaemi, direttore esecutivo del Center of Human Rights Iran, che si aggiunge al numeroso coro di voci arrabbiate e indignate per la liberazione di Nouri. Questo scambio è stato infatti letto dal popolo iraniano, specie quello della diaspora, come l’ennesimo tradimento da parte dei Paesi Occidentali disposti, ancora una volta, a scendere a patti con il regime teocratico dell’Iran e a liberare terroristi che potrebbero rivelarsi potenzialmente pericolosi per i cittadini iraniani.

Molti attivisti per i diritti umani e oppositori della Repubblica islamica dell’Iran hanno definito la mossa “vergognosa”, allo stesso modo, martedì 18 giugno, Amnesty International ha protestato contro quello che ha definito “lo scioccante rilascio di Hamid Nouri”. Tra le reazioni più forti c’è stata anche quella di Vida Mehrannia, moglie di Ahmadreza Djalali, prigioniero politico in Iran da 8 anni e nel braccio della morte, che alla notizia della liberazione di Nouri domenica 16 Giugno ha protestato davanti al Ministero degli Affari Esteri di Stoccolma, assieme ad altri iraniani residenti in Svezia.

Chi è Ahmadreza Djalali, il prigioniero dimenticato

Era il 26 Aprile 2016 quando Ahmadreza Djalali, medico con cittadinanza iraniana e svedese, venne arrestato senza un valido mandato dai Servizi segreti (VEVAK) mentre si trovava in Iran per partecipare a una serie di seminari nelle università di Teheran e Shiraz. Il dottor Djalali dopo essere stato condotto in un luogo sconosciuto, è stato incarcerato nella prigione di Evin dove ha vissuto perlopiù in isolamento. Il 21 ottobre 2017 è stato processato e riconosciuto colpevole di “corruzione sulla terra” (ifsad fil-arz) a seguito dell’accusa di “spionaggio” e collaborazione con Israele, lo stesso giorno venne condannato a morte.

Durante questi 8 anni, soprattutto a causa delle condizioni in cui era costretto a sopravvivere, la sua salute è peggiorata, ma Djalali non ha mai potuto ricevere le cure adeguate. 

Ora, a differenza di Floderus e Azizi, Djalali rischia di essere giustiziato, quindi se proprio la Svezia voleva fare uno scambio tra prigionieri, come minimo doveva pretendere anche, ma soprattutto, il rilascio di Djalali. Inoltre di questo negoziato la moglie, Vida Mehrannia, non era stata informata e, rivolgendosi al Primo Ministro svedese Ulf Kristersson, davanti al Ministero svedese domenica ha dichiarato: 

«Sono 8 anni che attendo delle risposte. Io, la mia famiglia e i miei figli soffriamo per questo silenzio della diplomaziasvedese. Ministro le chiedo perché in tutti questi anni ha ignorato la causa di Ahmadreza Djalali e non ha convocato me e la mia famiglia per comunicarci di questo accordo? Ministro lei deve dare delle risposte. Il governo svedese ha affermato che la Repubblica islamica non è disposta ad accettare lo scambio di Ahmadreza Djalali. Com’era dunque preparato il governo svedese a rilasciare un terrorista?».

Vida Mehrannia ha poi concluso il suo discorso dicendo che non si arrenderà, ribadendo come tutti i prigionieri avrebbero dovuto essere rilasciati e sottolineando come lo scambio di prigionieri incoraggia la politica criminale degli ostaggi iraniana.

Quasi in contemporanea con il sit-in della moglie, dalla prigione di Evin dalla quale è rinchiuso, Djalali ha diffuso un messaggio vocale rivolto al Primo Ministro svedese, chiedendo perché non era tra i prigionieri scambiati in Svezia con l’Iran, e di spiegare questo anche alla sua famiglia, ha domandato inoltre perché il Ministro lo ha lasciato, e lo sta lasciando, nel grande rischio di essere giustiziato.