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Una nuova, imponente, esercitazione militare è iniziata questa mattina attorno a Taiwan che è in questo momento circondata da navi, aerei, missili e messaggi politici cinesi. L’esercitazione di oggi, denominata “Missione Giustizia 2025”, segna il culmine di una nuova escalation nello Stretto che arriva dopo la tensione creata da recenti visite sull’isola da parte di funzionari giapponesi e una vendita di armi statunitensi dal valore di 11 miliardi di dollari.
Non è una novità né un episodio isolato: si tratta di una tensione strutturale che si manifesta, anche, attraverso questo tipo di manovre che si ripetono ciclicamente da anni, che vanno ben oltre la semplice dimostrazione muscolare e lanciano un messaggio chiaro a Taipei e ai suoi alleati.
Per la Cina, Taiwan non è un’isola qualunque ma una questione esistenziale. Entro il 2049, anno del centenario della Repubblica Popolare Cinese, dovrà compiersi la “grande rinascita” cinese che prevede, tra le altre cose, il ritorno di Taiwan sotto il controllo di Pechino, con le buone o con le cattive.

Mappa delle zone di esercitazione militare cinesi attorno a Taiwan (“Justice Mission 2025”). Fonte: Taiwan Security Monitor – George Mason University.
Le manovre odierne coinvolgono esercito, marina, aviazione e addirittura l’impiego di fuoco reale. Pechino parla di addestramento “di routine”, necessario per rispondere alle provocazioni separatiste di Taipei e alle interferenze straniere. Taiwan denuncia intimidazione militare e risponde schierando i propri sistemi missilistici e le proprie forze armate, attualmente in stato di massima allerta.
Le esercitazioni di queste ore non servono, ovviamente, solo a testare la prontezza dell’Esercito ma a mandare un segnale chiaro: la Cina è intenzionata e pronta a riprendersi l’isola e vuole che tutti lo sappiano. Taipei, Washington, Tokyo e anche Bruxelles.
Ma perché un’isola così piccola è così importante per un gigante come la Cina?
L’isola, che si trova a circa 150 chilometri dalle coste cinesi, ha sviluppato un sistema politico, economico e sociale autonomo, trasformandosi in una democrazia di fatto indipendente. Per Pechino, però, resta territorio cinese.
Eppure, questo confronto va ben oltre la sola questione separatista e rappresenta uno dei nodi geopolitici più rilevanti del secolo che caratterizzerà il nostro futuro.
Per comprendere meglio il perché di tutto questo è necessario fare un passo indietro e tornare al 1949 quando il Partito Comunista di Mao Zedong vinse la guerra civile cinese affermando il proprio potere e fondando la Repubblica Popolare Cinese che conosciamo oggi. Gli oppositori politici sconfitti, si rifugiarono proprio su Taiwan sperando, un giorno, di riconquistare il potere. Da allora il mondo ha vissuto con due Cine: Pechino e Taipei. Negli anni Settanta, gli Stati Uniti riconobbero la Cina comunista, ma mantennero rapporti stretti con Taiwan, creando un’ambiguità strategica.
Riunificare Taiwan significa, per Pechino non solo completare l’unità nazionale dimostrando la capacità di imporre la propria volontà nella regione, ma è anche uno dei principali fronti dello scontro con gli Stati Uniti.
Per Washington, infatti, Taiwan rappresenta l’avamposto militare e strategico per eccellenza nel Pacifico. Difendere l’isola significa contenere la Cina impedendole di controllare liberamente i propri mari. E in geopolitica chi controlla il mare controlla il mondo. Ma non solo: Taiwan è il cuore della produzione mondiale di microchip, essenziali per l’industria globale. Per questi motivi Taiwan non rappresenta solo una disputa regionale ma un epicentro globale attorno al quale si gioca la partita tra le grandi potenze del XXI secolo.
Le esercitazioni di oggi vanno lette esattamente in questa chiave. Non come la prefazione automatica di una guerra, ma come parte di una strategia di pressione costante. Pechino alza il livello, senza superare la soglia del conflitto aperto (per ora). Taiwan resiste rafforzando le proprie difese e cercando sostegno internazionale e gli Stati Uniti osservano evitando mosse che li trascinerebbero in una guerra diretta con la potenza asiatica.
Più che di missili, attualmente è una guerra di nervi che però si gioca, giorno dopo giorno, sempre un po’ più vicina al limite.

Immagine diffusa dai canali ufficiali dell’Esercito popolare di liberazione.
Una nave della Marina cinese durante le esercitazioni militari attorno a Taiwan.






