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18 Ottobre 2021Tunisia, nove donne al comando. Cosa sta succedendo?
di Simone Cataldo
Una nuova Tunisia con nove donne al timone. Dopo mesi di disordini che riportavano alla mente la crisi del 2011 vissuta dal Paese a nord del continente africano, la prima ministra Najla Bouden, in occasione della cerimonia di giuramento davanti al Presidente della Repubblica Kais Saied, ha annunciato la sua squadra di governo.
Dopo mesi di profonda crisi, la Tunisia esce fuori, solo momentaneamente, da un apparente stato di inibizione grazie al nuovo esecutivo annunciato lo scorso 11 ottobre dalla prima ministra Najla Bouden. Una donna che permette ad uno dei Paesi più importanti del continente africano di risalire la china, proprio lei che solo poche settimane fa è diventata la prima donna del mondo arabo a ricoprire tale ruolo. Una figura, quella femminile, che lancia messaggi importanti alla comunità mondiale e che ha dato maggior senso al proprio attuale ruolo incaricando otto donne, in altrettanti ruoli, nel nuovo governo che potrebbe far transitare la Tunisia verso un periodo di maggior prestigio.
Otto donne. Insomma, per noi occidentali questo numero dovrebbe essere congruo, ma non per il contesto tunisino dove avanzare una mossa simile è quasi un azzardo. Non era facile auspicare una simile scelta, non solo per i disordini che avevano caratterizzato in negativo il Paese, bensì anche per il periodo storico che, nonostante una continua protesta di stampo femminista, anche e soprattutto nel mondo letterario, non lasciava presagire nulla di buono.
Le proteste dall’inizio del 2021
I subbugli tunisini risalgono, in particolar modo, al mese di gennaio 2021. Proteste scoppiate a causa delle ondate pandemiche – la Tunisia ha raggiunto quota quattro – e del conseguente dissesto sanitario, della crisi economica e occupazionale, e infine del buio pesto che avvolgeva il fronte dei diritti, in particolare quelli delle donne. Non si tratta dunque di un periodo di crisi pari a circa due mesi e mezzo, come spesso ci viene raccontato, in quanto anche prima dello scioglimento del governo da parte di Saied dello scorso 25 luglio la situazione era molto critica. Da lì in poi le proteste non si sono placate e hanno raggiunto il culmine venerdì 25 giugno, data in cui il ventenne Ahmadi è morto in seguito all’arresto e le manganellate subite in piazza. Un’altra morte è arrivata poche settimane dopo, ovvero il 6 settembre: a darsi fuoco è Neji Hefiane, ventiseienne che decide di lasciare il mondo terreno perché mai risarcito da parte del governo dei danni fisici ricevuti nel corso della primavera araba.
Ma proviamo a fare un passo avanti. È lecito ora chiedersi quale sarà la reazione di un popolo che vede la democrazia tunisina ottenuta nel 2014 cambiare binario. Inoltre, come si divide l’opinione pubblica rispetto alle mosse avanzate da Saied e Bouden? Due le fazioni, due le linee di pensiero che dobbiamo cercare di capire.
Democrazia ritrovata, Saied padre della nuova era
Da una parte, c’è chi ha deciso di schierarsi dalla parte di Kais Saied, personaggio approdato alla politica tunisina con un ruolo da protagonista nell’ottobre 2019 e ad oggi massimo rappresentante della Repubblica. Arrivato al comando dopo essersi dichiarato neutrale dal punto di vista politico e nonostante fosse celebre per i pugni chiusi esposti alla folla, per la campagna contro gli omosessuali presenti in Tunisia e per essersi insediato attraverso gli apparati militari e aver interrotto le trasmissioni di Al Jazeera, colosso comunicativo del continente africano, molte persone gli hanno dato fiducia. Una fiducia che qualcuno ha interpretato nelle settimane scorse al centro di Tunisi, bruciando alcune copie della costituzione tunisina, atto discutibile e che fa passare a un messaggio tutt’altro che positivo attorno a Saied.
Il principale merito del Presidente della Repubblica, agli occhi dei suoi sostenitori, sembrerebbe quello dell’essersi schierato contro il partito estremista Ennahda fin da subito. Fazione politica che più di tutte ha condotto la Tunisia dal 2010 al 2014 verso la transizione democratica, ma che avrebbe poi tradito la promessa di realizzare una vera democrazia.
Attentatore della democrazia, prossimi alla deriva dittatoriale
La controparte risponde con fermezza. A partire dal 25 di luglio, giorno in cui Saied ha deciso di sciogliere il governo e congelare le attività parlamentari, non sono mancate le manifestazioni di protesta da parte di Ennahda che, forte dei suoi 55 seggi in parlamento, dunque la maggioranza, aveva ben intuito le criticità di questa mossa. Da lì in poi, coloro che, seppur con una fitta rete corruttiva, erano saliti al governo, non avrebbero avuto più la possibilità di legiferare. L’opposizione politica e popolare ha definito questa decisione un tentativo di golpe da parte di Kais Saied. A corroborare questo pensiero è stata poi la scelta di prolungare fino a data da destinarsi il congelamento delle attività parlamentari, con l’articolo 80 della Costituzione che ben specificava come fosse possibile applicare tale decisione per soli 30 giorni, al termine dei quali si sarebbe dovuto nominare un nuovo esecutivo. Saied ha deciso di prendersela comoda, grazie all’assenza di una Corte costituzionale, decidendo di nominare un nuovo governo dopo due mesi e mezzo. Come se ciò non bastasse, anche dopo la nomina della prima ministra donna nel mondo arabo, Najla Bouden, Saied non ha riattivato le attività parlamentari. Di conseguenza, anche il nuovo esecutivo nominato dalla Bouden dovrà operare in sedi private e non nei normali organi democratici.
E queste donne?
Nel frattempo la Bouden, sempre sotto la supervisione di Saied che rimane a capo dello Stato – ogni proposta passa dalle sue mani, ha assegnato a otto donne alcuni importanti ruoli nel nuovo esecutivo. È questo il grande tema al centro del nuovo dibattito politico perché qualcuno crede che sia una scelta presa per confermare la posizione democratica del Capo dello Stato tunisino. C’è chi, invece, dice di non cadere nella trappola e insiste nel definirla un’“operazione maquillage”, in quanto ritiene che la quota rosa sia stata utilizzata come scudo per i detrattori interni e come vetrina di legittimazione internazionale.