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Bologna- Rinviata al 7 dicembre l’udienza in cui si deciderà se condannare i rappresentanti di Ultima Generazione che hanno interrotto la circolazione stradale a Bologna poche settimane fa. Sono due capi-scout e un’illustratrice e rischiano fino a 5 anni di carcere. Vediamo perché. Abbiamo intervistato T., uno dei portavoce di Ultima Generazione.
Il 3 novembre scorso uscivano dal Tribunale di Bologna tre attivisti del gruppo ecologista Ultima Generazione, con due divieti di dimora in città e un obbligo di firma alla polizia giudiziaria. Conseguenze pesanti, alle quali tuttavia gli attivisti di Ultima Generazione non sono nuovi, a causa delle loro azioni eclatanti di “disobbedienza civile”; azioni tanto preoccupanti da aver spinto il deputato leghista Gianangelo Bof a presentare una proposta di legge per contrastare “le intemperanze di sedicenti attivisti ambientalisti ed ecologisti che impediscono, con il proprio corpo, l’ordinata circolazione stradale”.
Un “programma di proteste” serrato
Silvia, Mida ed Ettore, i tre protagonisti della vicenda di Bologna, sono stati processati per direttissima con le accuse di violenza privata aggravata e danneggiamento, poiché il giorno precedente (2 novembre) avevano condotto un blocco di protesta alla tangenziale della città. Una decina di attivisti e attiviste avevano bloccato la tangenziale della città, tra le uscite Fiera e via Stalingrado, sedendosi sulla carreggiata, e, in due casi, cementando le mani alla stessa. L’udienza si è conclusa con due divieti di dimora e un obbligo di firma. “Quello che lascia senza fiato -commenta T.- è che il giorno in cui in cui sono stati arrestati, c’è stata l’alluvione in Toscana, con l’allagamento a Campi Bisenzio, San Piero a Fonti e Quarrata, nella zona di Pistoia; e abbastanza interessante vedere come l’attenzione di chi può fare qualcosa si rivolga verso chi sta cercando di inquadrare il problema piuttosto che verso il problema.”
La protesta di Bologna, in ogni caso, non è l’unica. Come ci informa T., “Noi eravamo a Bologna all’interno di quello che è stato finora il nostro programma autunnale: abbiamo portato azioni in diverse città d’Italia, partendo da Milano, Torino, Padova, Verona, poi siamo scesi a Bologna. In questi ultimi giorni ci sono state diverse azioni in Sicilia e a Cagliari. Insomma, stiamo continuando a muoverci, e in quella settimana abbiamo deciso di fermarci su Bologna”. “Nel momento in cui abbiamo iniziato questo percorso di resistenza sapevamo benissimo che saremmo finiti in bocca alla repressione, era assolutamente nel conto. La disobbedienza civile ti mette davanti alle conseguenze delle tue azioni, anche a livello penale”. “Abbiamo un lungo tour autunnale di processi; tra poco ci sarà il processo per l’azione agli Uffizi in primavera, poi ci sarà l’ultima seduta per l’azione al Senato, e così via con una fila di processi (…), a cui risponderemo sempre con la nostra presenza”.
Perché tutte queste proteste?
Se le conseguenze per proteste così accese ed eclatanti sono tanto gravi, cosa spinge gli attivisti a proseguire, e non cambiare modalità?
“Figurati se io avrei mai voluto mettermi a bloccare le strade -dice T. -nessuno di noi che sta facendo quello che fa aveva questo tra i piani di vita. Silvia è un’illustratrice e una dottoranda in filologia, Mida ed Ettore sono capi-scout… ognuno di noi ha la sua storia; ma ad un certo punto si è reso conto che ci sono delle cose davanti a cui non può più far finta di niente. Ognuno di noi ha avuto il momento in cui si è messo davanti allo specchio e si è chiesto “cosa sono disposto a dare per ciò a cui tengo di più?”
E perché due capi-scout e un’illustratrice si trovano processati per direttissima, vedendosi affibbiare due divieti di dimora e un obbligo di firma?
“(…) La transizione ecologica ci sarà, il problema è come: perché ad occhio e croce, per chi in questo momento può decidere, il costo di qualche miliardo di vite vale la possibilità di mantenere tutto il proprio potere e la propria ricchezza; queste sono le cifre da qui a fine decennio, a causa della combinazione tra fallimento dei raccolti, condizioni climatiche sempre più insopportabili in una fascia ormai enorme del pianeta, le guerre e le emigrazioni di massa che ne seguiranno”.
Cosa propone Ultima Generazione?
Al momento, la richiesta principale del gruppo è un Fondo Riparazione, ovvero un fondo preventivo e permanente di 20 miliardi di euro sempre pronti ad essere spesi per ripagare i danni da calamità ed eventi climatici estremi, in modo da fornire supporto immediato ai territori e alle vittime, tramite processi partecipativi, agili e poco burocratizzati. I fondi, secondo gli attivisti, dovrebbero essere ottenuti “livellando le ingiustizie sociali”, ovvero tramite “extra-profitti delle industrie fossili, taglio totale dei sussidi pubblici ai combustibili fossili, taglio degli stipendi dei manager delle industrie energivore partecipate dallo stato, taglio degli stipendi della classe politica, taglio delle spese militari”.
Questa richiesta deriva, per Ultima Generazione, da una necessità di riconoscere delle responsabilità politiche nella situazione attuale. “20 miliardi è una cifra ragguardevole -riconosce T.- ma ragionandoci quei soldi si trovano, e non rappresenta solo la possibilità di aiutare chi nei prossimi anni avrà problemi (e saranno tante persone), ma una presa d’atto da parte del Governo. L’istituzione di quel fondo, anche di meno di 20 miliardi, è una presa d’atto del fatto che la nuova realtà è questa, in cui succede un evento catastrofico ogni mese. È questo che noi vorremmo dal Governo: e invece continuiamo a far finta che non stia succedendo niente, e questo è preoccupante”.
Ultima Generazione e tutti gli altri: una rete
Ultima Generazione non è certo l’unica realtà a puntare il dito contro questi problemi: “Siamo in dialogo costante con tutte le altre realtà che si occupano di ecologismo in Italia e non solo, con partiti dentro e fuori dal Parlamento. Fosse anche perché o ci salviamo tutti insieme o non si salva nessuno”. Il movimento fa anche parte della rete A22, che comprende una decina di movimenti in diversi Paesi, che condividono, in linea di massima, le stesse idee e le stesse modalità d’azione. “Questo è il momento in cui è assolutamente necessario riprovare a fare questo passo avanti tutti insieme, dal più piccolo centro sociale di provincia ai Fridays for Future, ai sindacati federali; che ci sia un risveglio di orgoglio, per provare a cambiare le cose. (…) L’alternativa è lasciare che qualcun altro decida per noi il nostro futuro, e in questo momento qualcuno sta progettando il nostro futuro in un pianeta di almeno due gradi più caldo”.