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5 Aprile 2021Università. È una forbice che si apre: divario Nord-Sud, gap di genere e pochissimi ricercatori
La scuola e l’Università sono la torre da cui il Paese può scrutare oltre il proprio presente. Abbiamo tracciato una rapida istantanea della situazione nel 2020, in attesa di poterla confrontare con l’anno accademico che si chiuderà tra pochi mesi. Ciò che emerge è un divario che cresce tra Nord e Sud e un gap di genere che persiste nelle retribuzioni dei neolaureati, anche nelle professioni sanitarie. Nel 2020 non ha trovato lavoro un terzo dei laureati già da oltre un anno, nemmeno con la specializzazione. Per quanto riguarda i neolaureati occupati, dimostrano di non amare lo smart working, il 59% lo valuta negativamente. Infine, tra i neo iscritti, dopo il primo anno di università, 15 su 100 modificano la propria scelta: abbandonano o cambiano corso.
Aumentano iscritti ma anche divario Nord-Sud
Intanto è di buon auspicio che le immatricolazioni per l’anno 2020-2021 non abbiano registrato cali: i nuovi iscritti sono 327.071. Si sono raggiunti i livelli massimi raggiunti nel passato, dei primi anni duemila. Si registra contestualmente un calo della mobilità interprovinciale e interregionale. Il dato meno positivo è l’interruzione del processo di convergenza tra le due aree del Paese, Nord e Sud. Se tale divario si era ridotto fino a dieci anni fa, ora sta aumentando di anno in anno. Ed è un gap sempre più evidente persino a partire dai servizi dell’infanzia. “La spesa pro capite dei Comuni per i servizi socio-educativi per bambini 0-2 anni è pari a 1468 euro nelle regioni del Centro, a 1255 euro nel Nord-Est per poi crollare ad appena 277 euro nel Sud. Nel Centro-Nord è stato garantito il tempo pieno al 46% dei bambini, con valori che raggiungono il 50,6 in Piemonte e Lombardia; nel Mezzogiorno in media solo al 16%, in Sicilia la percentuale scende al 7%”1.
Fondi Università 2020
“Nel 2020 il Governo ha previsto uno specifico intervento nel DL Rilancio che ha incrementato l’FFO (Fondo per il finanziamento ordinario dell’Università) di 165 milioni di euro per l’esonero totale della retta universitaria agli studenti con fascia ISEE inferiore ai 20mila euro e parziale per quelli tra 20mila e 30mila. Ad oggi, non è ancora possibile verificarne gli effetti con accuratezza a causa dell’indisponibilità di dati definitivi sulle iscrizioni ma con buona probabilità la misura contribuirà a ridurre le disparità territoriali e di reddito che permangono su tutto il territorio nazionale. (…). Per l’anno 2020 il Fondo per finanziare l’Università si è attestato intorno a circa 7,8 miliardi di euro. Seppur tale cifra confermi il trend positivo del Fondo che, nei suoi valori di spesa corrente, continua a crescere dal 2015, non può tuttavia non segnalarsi come, analizzando i valori reali a prezzi costanti 2015 e prendendo in considerazione l’inflazione al 2019, esso sia addirittura inferiore del 5% del suo valore al 2008”2.
Ricercatori al Nord e al Sud
Oltre alla disparità dei territori del Paese rispetto alle immatricolazioni, vi è il tema della qualità e della internazionalizzazione della ricerca, anche questo riguarda in particolare le Università meridionali e quelle delle aree periferiche. La mappa del numero di ricercatori Rtd-b (a tempo determinato, reclutati con contratti triennali non rinnovabili, con possibilità di passaggio a professore associato, dopo valutazione positiva dell’attività svolta) reclutati dagli Atenei italiani suddivisi su scala regionale nel periodo 2015-2019 ci riferisce quanto segue. “L’Italia ha reclutato nel periodo 2015-2019 in media 2,12 Rtd-b ogni 10mila abitanti, il Centro Nord 2,41 e il Mezzogiorno 1,58. Trentino, Emilia- Romagna e Toscana hanno rispettivamente 3,49, 3,18 e 3,06 ricercatori e, in fondo alla classifica, la Basilicata con 0,83, la Calabria con 0,91 e la Puglia con 1,01 ricercatori ogni 10mila abitanti”3. Come dire che ci sono regioni le cui Università hanno reclutato complessivamente una quarantina di ricercatori in cinque anni.
Donne neolaureate e retribuzione
Dopo il 2020 e anche dopo questo primo trimestre 2021, si conferma l’importante divario di genere nelle retribuzioni dei laureati di secondo livello (magistrale): a cinque anni dal titolo di laurea, le donne percepiscono mediamente il 16% in meno degli uomini, 1.467 euro mensili netti, a fronte di 1.715 degli uomini. Questo divario sale al 24% in presenza di figli: 1.422 di retribuzione mensile netta per le donne madri diventano 1.772 euro per gli uomini padri4.
La differenza è analoga anche per la retribuzione mensile a un anno dalla laurea, quando gli stipendi medi sono compresi tra i 1.100 e i 1.200 euro.
Professioni sanitarie
Su questo argomento è stato realizzato un approfondimento sui laureati di primo livello (triennale) dei corsi di laurea delle 22 professioni sanitarie, a un anno dalla laurea. La retribuzione mensile media è di 1.313 euro (nella media è inclusa anche la retribuzione maggiore che riguarda il corso di Igiene dentale che è di 1.608 euro), 1.387 per gli uomini e 1.283 per le donne.
Abbandoni e cambi Facoltà
Si iscrivono all’Università soprattutto i liceali. Un anno dopo il diploma risultano immatricolati il 66,9% dei diplomati, di questi 51,4% ha optato solo per lo studio e il 15,5% frequenta l’Università lavorando. Del 51% dedito solo allo studio il 66,4% è costituito da liceali, il 38,6% da diplomati del tecnico e il 19,2% del professionale. Dopo il primo anno oltre il 15% cambia idea: il 7% abbandona e l’8,7% cambia corso. Gli abbandoni riguardano soprattutto i diplomati professionali e tecnici, mentre i cambi di ateneo e corso principalmente i liceali. “Il motivo prevalente del cambiamento di corso o ateneo è legato soprattutto a un’insoddisfazione, rispetto alle aspettative iniziali, per le discipline insegnate: infatti, tra i diplomati del 2018, il 44,0% dichiara che quelle impartite fino a quel momento non sono risultate interessanti, mentre un ulteriore 4,4% ha trovato il corso troppo difficile. L’8,1%, invece, si dichiara insoddisfatto dell’ateneo scelto. Da leggere in chiave positiva, invece, il dato del 33,5% per il quale il cambiamento di corso o ateneo è legato alla nuova possibilità di accedere al corso di laurea a cui non era riuscito ad accedere in precedenza. Infine, la restante parte ha scelto di cambiare per motivi personali (4,8%) o per altri motivi (4,3%)”5.
Laureati e lavoro ai tempi del Covid
I neolaureati hanno subito molto pesantemente le conseguenze della pandemia, in particolare il Sud e le donne evidenziano i segnali di peggioramento più forti. A un anno dal titolo, i neolaureati registrano un tasso di disoccupazione tra il 35 e il 30% (laurea di primo livello e laurea di secondo livello). Anche le retribuzioni appaiono calate almeno del 2-3%. I dati riguardano i primi mesi del 2020 per cui si può ipotizzare un ulteriore peggioramento dovuto al protrarsi della crisi pandemica.
Dall’indagine svolta6 emerge anche tra i neolaureati che la maggioranza (59%) ha percepito negativamente lo smart working, utilizzando per descriverlo aggettivi come stressato, alienato e frustrato. Tra il 25 e il 32% lo ritiene per nulla sostenibile per il futuro. I neolaureati a un anno dal titolo si mostrano più ottimisti verso il futuro, rispetto a quelli a cinque anni dalla laurea che hanno lavorato anche tra crisi economica e modesta ripresa del mercato, ancor prima della pandemia, oltre la metà di loro ritiene che vi saranno ripercussioni sulle proprie opportunità lavorative, quantomeno nei sei mesi a seguire.
1“È questo un caso paradigmatico della debolezza dello Stato nell’offrire un servizio fondamentale per la crescita culturale dei ragazzi che trova motivazione principale nella debolezza finanziaria delle amministrazioni locali, soprattutto dei Comuni nel garantire le risorse necessarie per l’erogazione delle mense scolastiche, e che non viene percepita come una priorità politica da parte della classe dirigente nazionale e locale”.
2Rapporto Svimez 2020
3Rapporto Svimez 2020
4AlmaLaurea, marzo 2020
5AlmaLaurea, 2020
6AlmaLaurea, 2020