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di Simone Cataldo
Esiste un metodo che possa con grande efficacia combattere la falsa informazione relativamente alle migrazioni? Difficile trovare una risposta concreta, ma senza dubbio il mondo della musica può coinvolgere le nuove generazioni e portarle a un atteggiamento di rispetto e apertura verso lo “straniero”. In Senegal ne sanno qualcosa i massimi esponenti dell’urban music, i quali – anch’essi immersi nel nuovo mondo digitale – hanno deciso di lanciare segnali importanti al Continente europeo e al mondo intero.
Come nasce l’urban music?
I Griot1 sono una figura di spicco nella tradizione senegalese. Cantautori nomadi, custodi di parole o racconti, hanno preceduto l’attuale palcoscenico musicale in Senegal, ovvero l’urban music. In un certo senso la figura dei Griots riprende quella dell’attore e ancora oggi è stimata per l’abilità di unire stili musicali differenti, dovuti al suo continuo spostamento nell’area senegambiana, frutto di conoscenza di nuove culture, tanto da prender parte a diverse celebrazioni come matrimoni o manifestazioni istituzionali.
A modernizzare questa tradizione ci hanno pensato le varie culture approdate nel territorio senegalese. I primi a sbarcare nel territorio furono i portoghesi nel XV secolo, a seguire, tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII, francesi e inglesi arrivarono in Senegal perché interessati alla zona del fiume Senegal. Fu poi il turno degli olandesi nel 1617 che si impadronirono dell’isola di Gorée (Dakar) – poi passata dopo qualche decennio ai francesi che ne fecero un punto chiave per la vendita degli schiavi agli americani. Da lì in poi seguì un lungo dominio francese, per alcuni libri terminato nel 1960 con l’indipendenza del Senegal dalle colonie transalpine – perché concessa, ma che in realtà non sembra esser mai compiuta.
L’urban music negli anni Ottanta
I primi gruppi che rimandano alla moderna urban music si ricordano negli anni Ottanta, con i legami tra Francia e Senegal che hanno la predominanza all’interno dei testi. Basti pensare alla posizione che assunse il Centro Culturale francese di Dakar o alla crescita dei gruppi come i Positive Black Soul che negli anni si esibirono in lingua inglese, francese e wolof con l’ausilio di strumenti della tradizione, impegnandosi nell’attivismo socio-politico fin dalla loro fondazione. Proprio in questi decenni molti giovani si avvicinano alla nuova tradizione musicale, alcuni utilizzando anche il genere taasu legato al “mondo wolof”, nella maggior parte delle volte per richiamare la coscienza generale, ispirati dall’hip hop statunitense.
Telegiornale con testi di urban music, Empowering Young People Through Media and Communication e altri progetti
La crescita del digitale ha portato a un nuovo modo di fare musica tant’è che, nonostante le nette differenze che vi sono tra le nostre risorse e quelle a disposizione dei senegalesi, quest’ultimi hanno cercato e cercano tutt’oggi di sfruttarle nel migliore dei modi. In tal senso, la possibilità che il messaggio possa raggiungere altre sponde del mondo, ha portato molti giovani a creare nuovi format utili a contrastare la falsa informazione e gli stereotipi sul fenomeno migratorio. Il tutto, ovviamente, con l’utilizzo della urban music.
Il progetto di maggior ingegno è senza dubbio quello nato nel 2013 da due giovani rapper locali i quali, dando vita ad un telegiornale che utilizza testi di urban music in lingua wolof e francese, condividono informazioni e notizie su tematiche attuali di determinate regioni o a carattere internazionale, toccando il mondo della politica, quello della cronaca, dell’economia e diverse questioni sociali. Interessante è anche il progetto Empowering Young People Through Media and Communication (Responsabilizzare i giovani in Africa attraverso i media e la comunicazione) avanzato da Unesco nel 2019, con conseguente approvazione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano. Prende in considerazione ben 8 Paesi ovvero: Camerun, Costa d’Avorio, Ghana, Guinea-Conakry, Mali, Niger, Nigeria e Senegal. Contribuisce all’attuazione della Strategia dell’UNESCO per il Sahel: uguaglianza di genere, sviluppo dei media e Africa prioritaria. Coinvolte nel progetto giovani donne dei settori dei media e della comunicazione dei Paesi target, con le giovani donne migranti che sono impegnate nel realizzare lavori editoriali. In linea con l’Agenda 2063 dell’Unione Africana, il progetto è coerente con il Migration Policy Framework for Africa, che prevede, tra le altre azioni strategiche, l’accesso a informazioni accurate sulla migrazione per lavoro, sia prima della partenza che dopo l’arrivo, comprese le condizioni di lavoro, i rimedi e l’accesso alla consulenza legale in caso di violazioni dei diritti umani.
Dal Senegal all’Italia
Siamo consapevoli che le comunità senegalesi rappresentano una fetta importante della nostra società, pertanto le stesse hanno deciso negli anni di combattere stereotipi e falsi miti utilizzando l’urban music. A trasportarci in questo ambito per qualche giorno è stata la città di Bologna ospitando l’incontro “Feneen-Viaggio nell’urban music senegalese” che si inserisce nell’ambito del progetto “MIGRA – Migrazioni, Impiego, Giovani, Resilienza, Auto-impresa” promosso dalle ONG italiane LVIA, CISV e COSPE. Tenutosi lo scorso 8 ottobre nello spazio DAS di via del Porto, si è trattato di uno degli incontri chiave di “Teraa di tutti i Film Festival”, decennale rassegna di cinema.
Protagonisti il rapper senegalese lamine Barro (in arte Leuz Diwane), il rapper italo-senegalese Oumar Sall (in arte F.U.L.A) e il producer Frank Sativa. Assieme hanno discusso di migrazione, accoglienza e hanno viaggiato all’interno della cultura senegalese. L’obiettivo è quello di rappresentare la migrazione non come un traffico di essere umani, dando numeri, bensì come una nuova avventura per persone che vivono realtà totalmente differenti dalle nostre. Gran parte degli artisti che giungono in Europa affrontano il viaggio per poter raccontare le loro culture nel Continente occidentale, ma la difficoltà sono moltissime.
1 Come ci ha raccontato Raoul Vecchio nel suo libro “La felicità nel sorriso altrui”.