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di Simone Cataldo
Novità concreta nel mondo del beverage: a prender quota sono i vini dealcolati. Le nuove attitudini del benessere portano alla modifica quasi radicale di un prodotto che fa parte della tradizione italiana e non solo. Inevitabile la divisione all’interno dell’ambiente e da parte degli addetti ai lavori.
Dai soft drink, passando per le birre analcoliche, l’ultima idea, anche se già concreta quindi non più tale, è quella di offrire ai consumatori un vino analcolico. È un tema che, seppur poco discusso nell’arco degli ultimi due anni, ha ripreso quota nel mese di luglio, con la Coldiretti che ha reso nota la sua contrarietà al riguardo e che sottolinea come l’Unione Europea sia ormai decisa nell’approvare la produzione di queste bevande della tradizione prive di indice alcolometrico. La loro sperimentazione è stata un punto fisso del programma annuale da parte di alcune aziende, tanto che nei mesi di “chiusura” (a causa della pandemia) molte di loro hanno avuto modo di provare diversi metodi per creare questa bevanda.
A permettere l’espansione di questa “variante” di vino (diventa difficile trovare un vero e proprio termine per definirla) è il pensiero che si è diffuso, soprattutto nell’ultimo decennio, anche attraverso associazioni, ispirato a stili alimentari legati al benessere e all’ecologia. Da qui l’attenzione di migliaia di aziende che hanno colto l’occasione per avviare produzioni e di conseguenza vendita di prodotti bio. Ed è proprio in questo contesto storico-sociale che i vini dealcolati potrebbero rappresentare un’importante innovazione, soprattutto per quei soggetti che non assumono bevande alcoliche. Ma questo non è l’unico motivo, infatti, secondo un sondaggio della Wine Intelligence, molti cittadini europei considerano ottima la produzione di un vino privo di alcool, oltre che per preservare la propria salute, anche per il suo sapore, per mantenere la lucidità nei momenti di incontro con amici e non e perché, per ultimo ma non per importanza, contiene un numero di calorie inferiore ai classici vini.
Punti di forza dei vini dealcolati
La presenza sul mercato di vini privi di tasso alcolometrico andrebbe ad aumentare i consumi della suddetta bevanda. Una conseguenza più che positiva dato che il mercato dei vini dealcolati non andrebbe a sovrapporsi a quello delle normali produzioni, per tale motivo si tratterebbe di un nuovo ramo economico del quale potrebbero giovarne molte aziende attraverso la produzione, oltre che centinaia di attività attraverso la vendita ai consumatori. Non solo, la sua produzione potrebbe portare alla creazione di nuovi posti di lavoro. A cogliere i vantaggi di questa opportunità vi sono in prima fila Stati Uniti e Cina, con i primi che entro il 2024, secondo un’indagine dell’Internationale Wine & Spirits Research, dovrebbero aumentare le loro vendite in questo settore del 10% grazie proprio alla presenza di questa innovazione.
I no ai vini dealcolati
A muovere critiche è, per esempio, la Coldiretti che specifica come «la dealcolazione parziale e totale come nuove tecnologie enologiche rappresentano un grosso rischio ed un precedente pericolosissimo permettendo di chiamare ancora vino un prodotto in cui sono state del tutto compromesse le caratteristiche di naturalità per effetto di trattamento invasivo che interviene nel secolare processo di trasformazione dell’uva in mosto e quindi in vino». Chi negli anni ha lottato per ottenere delle certificazioni a livello regionale, nazionale e in ambito europeo, non vuole che il proprio prodotto venga meno o che possa esser prodotto senza alcol, perdendo una delle componenti organolettiche più significative. Inoltre, si teme che il prezzo del vino vada a ribasso, anche nel caso delle produzioni di eccellenza che caratterizzano dei particolari territori.
Il primo esperimento italiano di vino dealcolato
Nonostante il dibattito nel nostro Paese sia molto accesso, il primo esperimento concreto è proprio nostro. Si chiama Steibock Alcohol Free Sparkling ed è il primo vino dealcolato prodotto dal famoso vignaiolo italiano Martin Foradori. Padrone del marchio storico dell’Alto Adige Hofstatter, ha lanciato questa produzione enologica ottenuta da uve Riesling, ma al momento la stessa non può essere considerata vino perché appunto non approvata ancora la proposta in campo europeo.
Questo esperimento potrebbe comunque giovare del suo lavoro avvenuto in fase embrionale. Dal punto di vista delle caratteristiche lo Steinbock Alcohol Free Sparkling nasce dalla distillazione sottovuoto. Venendo ridotta la pressione atmosferica, viene abbassato il punto di ebollizione dell’alcol che passa dai 78°C ai 30/25°C circa. Alla fine del processo si ottiene una bevanda con un contenuto alcolico inferiore allo 0,25 vol.%. Secondo il produttore si tratta di una vera e propria bollicina di qualità. Intanto sono già terminate le 20mila bottiglie prodotte dopo l’esperimento, con 120 vendute già nelle prime due ore di vendita online.
Il tutto accade mentre l’Italia, secondo dati Coldiretti, ha aumentato la vendita di bollicine all’estero del 17% nel 2021. Un dato significativo che fa ben sperare i produttori, soprattutto in mesi segnati dalla pandemia.