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di Silvia Cegalin
Commenti scurrili, fischiettii, gestualità volgare e avances indesiderate e persistenti: sono alcuni degli atteggiamenti sessisti che molte donne e ragazze sperimentano spesso durante l’arco della loro giornata. Che si trovino per strada, in stazione o in attesa di un autobus, sottrarsi a tali comportamenti misogini e attenzioni non richieste sta diventando sempre più difficile.
I recenti fatti di cronaca, si pensi a quanto successo la notte di Capodanno in Piazza Duomo a Milano, inoltre, evidenziano come le molestie stiano mutando forma, divenendo sempre più aggressive e connaturate da una rabbia e da un odio che non possono più essere sottovalutati.
Comportamenti sessisti talmente radicati nella nostra quotidianità che recentemente si sono manifestati anche nella realtà virtuale, ossia in quel Metaverso che alla sua uscita era stato visto come un’alternativa forma di socialità e una possibilità di intrattenimento diverso.
Molestie sessuali: dalla realtà al Metaverso
Era la fine del Novembre 2021 quando una partecipante alla versione beta del gioco Horizon Worlds, piattaforma multiplayer di realtà virtuale sviluppata da Meta e disponibile negli Stati Uniti e in Canada, è stata avvicinata da un altro avatar per poi essere palpeggiata.
Per questa versione, al momento, sono ammessi 20 avatar alla volta, eppure, pur con un numero così ristretto di partecipanti, si è riusciti ad isolare un utente, molestarlo e deriderlo.
Ciò che impressiona è che l’azione del molestatore non è stata arrestata dagli altri partecipanti, al contrario, proprio come avviene nella realtà materiale, il resto dei presenti da osservatori passivi si è trasformata in branco, accerchiando la vittima per sbeffeggiarla.
Questo caso avvenuto nel Metaverso non è però il primo: un fatto analogo accadde nel 2016 a Jordan Belamire, giocatrice di QuiVr, dove un avatar le si avvicinò per toccarle il petto.
Due episodi, questi, che senza dubbio non sono gli unici.
La controversa questione della violenza subita nella Realtà Virtuale
Attualmente tali tipologie di molestie, essendo avvenute nel mondo virtuale privo di un concreto contatto fisico, non sono inquadrabili come violenze sessuali.
Nonostante ciò, come confessato da Belamire, chi ha subito tali abusi nel cyberspazio, ha riscontrato traumi e paure paragonabili a chi le ha esperite nella realtà. A proposito Jesse Fox, attenta studiosa delle molestie online e nel mondo videoludico, sostiene che essendo la realtà virtuale uno spazio che cerca di replicare le stimolazioni sensoriali offerte dal reale, la molestia, non solo, è vissuta in egual intensità, ma provoca danni post traumatici non sottovalutabili.
A differenza del cyberstalking, del cyberharassment e del cyberbullismo, che sono puniti dalle leggi della maggior parte dei paesi UE e degli Stati Uniti, al momento per contrastare le azioni violente accadute in VR si demanda principalmente alla gestione autonoma delle singole piattaforme, appare quindi urgente la formazione di uno statuto che si esprima in merito a tali condotte.
La funzionalità Safe Zone: la pratica che isola la vittima anziché il molestatore
In merito, per il fatto specifico accaduto su Horizon Worlds, il vicepresidente del progetto Vivec Sharma ha precisato che la beta tester molestata, per proteggersi, avrebbe potuto attivare la Safe Zone: una funzionalità che permette la creazione di una bolla protettiva che impedisce agli altri avatar di toccare, comunicare o interagire in qualsiasi modo con l’utente che decide di attivare la bolla.
La Safe Zone, oltre che essere una soluzione che, per l’ennesima volta, fa ricadere la responsabilità sui singoli fruitori, invece che intervenire sui possibili aggressori, isola le potenziali vittime o chi si percepisce in pericolo. Una pratica che non suona nuova, in quanto anche nella realtà è chi subisce violenze che deve nascondersi o fuggire, e mai il contrario.
Viene da chiedersi: se è giunta fino alla realtà virtuale fino dove si spingerà la violenza di genere?